Ci sono cose, nella vita, che si fanno più per atto di fede che seguendo la ragione: una di queste era la petición a “El Bulli” (per Sandra e me la terza consecutiva). Una mail per richiedere la prenotazione di un tavolo, da inviare, in un intervallo molto ristretto una volta l’anno. Invariabilmente, dopo alcuni mesi, ricevevo la risposta: “Anche per quest’anno la domanda ha superato di gran lunga il numero di posti disponibili e ci dispiace di non poter accettare la vostra prenotazione”.
In un apparentemente ordinario giorno di marzo del 2010, sul mio desktop si è materializzata la consueta mail che questa volta (miracolo!!) fissava un tavolo per il 1° di luglio (orrore!!!). Chi mi avesse potuto vedere in quell’istante avrebbe letto sul mio volto un miscuglio di esultanza e disperazione, di gioia e angoscia. La data scelta da El Bulli coincideva con il periodo della mia spedizione al K2, scalata a cui non volevo/potevo proprio rinunciare. Che fare? Sapendo che questo sarebbe stato l’ultimo anno prima della chiusura definitiva del miglior ristorante del mondo e che il numero di domande supera i 2 milioni contro i 6500 posti, non ho pensato neppure per un attimo alla possibilità di spostare la data. Non mi restava che comunicare l’indisponibilità nella maniera più educata possibile. Con l’aiuto di Sandra, abbiamo confezionato un piccolo capolavoro diplomatico in spagnolo e, due mesi più tardi, a riprova della mia sfacciata fortuna in questo genere di cose, è arrivata una nuova mail con una data alternativa: l’8 dicembre.
Non mi dilungherò su che cosa significhi poter cenare da El Bulli: chi lo sa non ne ha bisogno e chi non lo sa… “che glielo dico a fare?!” La visita ad Arles sulle tracce di Van Gogh, a Nîmes sulle orme di Cesare Augusto, a Figueres sulle ali di Dalì sono state solo la cornice dell’esperienza sensoriale regalataci da Ferran Adrià. Come tanti, per non correre rischi, siamo arrivati a Roses il giorno prima: troppo grande il pericolo di smarrirsi negli otto chilometri di stradina sinuosa che s’inerpica tra la macchia mediterranea del selvaggio promontorio di Cap de Creus sino all’insenatura di Cala Montjoi, dove, isolato dal resto del modo, sorge il famoso ristorante. Come tanti, abbiamo fatto i compiti, ripercorrendo in un mite e assolato pomeriggio autunnale ogni singolo metro del contorto viottolo - ignoto persino ai navigatori satellitari - per non smarrirci nel buio della sera. Come tanti, abbiamo seguito le indicazioni date da Adrià allo chef Anthon Bourdain, andando a gustare il giorno prima “pesce che sa di mare” da Rafa’s, nel centro di Roses, una piccola delizia che da sola giustifica gli oltre mille chilometri di strada percorsi.
Con il vestito buono e una buona dose di emozione, arriviamo alle 19:25 davanti al ristorante: nel buio quasi assoluto di Cala Montjoi il cancello è chiuso e fuori sosta un piccolo drappello di statunitensi, perplessi. Alle 19:30 in punto, la grata scorre silenziosa e i fortunati ospiti, in fila indiana, quasi dei carbonari, finalmente entrano nel regno. Prima tappa una breve visita alla cucina, scintillante e tranquilla, popolata da una truppa di cuochi giovanissimi, capitanati da Ferran Adrià. Invitati e seguire l’esempio degli altri ospiti, ci facciamo fotografare accanto al famoso chef, non senza una certa ritrosia perché ci vergogniamo un po’ del rito. Poi ci accompagnano al tavolo, e comincia il nostro vero viaggio. In fondo a questo resoconto troverete il menu degustazione che ci è stato offerto e una nutrita galleria fotografica. Devo però precisare che non è possibile descrivere neppure un piatto in maniera compiuta senza poterlo assaggiare, e toccare, e vedere, e annusare. Nella giusta sequenza, in armonia con la portata precedente e la seguente, in una sorta di ologramma che coinvolge tutti e cinque i sensi e che tanto sarebbe piaciuto all’altro grande surrealista di Figueres, Salvador Dalì.
I tre cocktail di benvenuto stabiliscono la distanza tra El Bulli e il resto del mondo: una fragola ghiacciata ripiena di Campari, seguita da un panino imbottito di mojito (verde) gelato e infine un semiguscio d’uovo con microsferule di rum ghiacciato accompagnato da un raviolo di nori e sesamo farcito di yuzu.
Del trio, quello che ci è parso meglio riassumere le innovazioni (e la rottura) portata da Adrià in campo culinario è il panino di mojito. La discrasia tra le due parole, panino e mojito, già raffigura il suo concetto di cucina: ovvero dissociare forma, sapore e consistenza per poi riassemblarle in forme inedite. Il “panino” è costituito da due cialde bianche di spuma di mela, della consistenza di un’ariosa meringa, imbottite da un mojito color verde smeraldo della densità e temperatura di una granita. La spuma ha due funzioni, una meccanica (permette di afferrare il mojito con le mani) e l’altra gustativa (prepara il palato con un delicato aroma di mela). La prima fragranza viene subito sovrastata dal gusto del mojito che si liquefa. La sensazione è quella, spiazzante, di “mangiare” un mojito.
Un altro esempio di creatività del grande cuoco catalano è il suo globo di gorgonzola gelato. E’ una sottile sfera di colore bianco, grossa come un uovo di struzzo, cava all’interno, con un guscio solido di gorgonzola, solido per via della temperatura sottozero, che va prima cosparso di noce moscata, poi spezzato e mangiato con le mani prima che si sciolga.
La pietanza che più ci ha incantato è stato l’accostamento tra nocciole e caviale. Il gioco incrociato di microsferule ripiene di essenza di nocciole su di una salsa grigia di caviale e di caviale grigio su una salsa marroncina di nocciole, rende arduo discriminare il vero dal ricostruito e ci fa dubitare delle nostre capacità sensoriali. Yin e yang, ma senza una netta divisione dei ruoli… destabilizzante!
Infine, a parer nostro, il miglior esempio di creatività, in grado di mandare in deliquio un giapponese. L’aspetto è quello di un tiramisù, accompagnato da una tazza di tè. In realtà si tratta di un’ariosa spuma bianca di soia e pinoli, spolverata con miso. L’infuso che lo accompagna è di tonno essiccato e alghe, preparato sul nostro tavolo. Dopo 34 piatti di questo livello il problema è: e ora? Adesso che abbiamo visto che cos’è l’arte in cucina, il divertissment, ora che abbiamo compreso l’abissale differenza tra El Bulli e tutti gli altri, ci resterà per sempre il rimpianto di qualcosa di unico, perduto per sempre, almeno sinché il futuro non ci regalerà un altro creativo del livello di Ferran Adrià.
8 Dicembre 2010
Restaurante El Bulli – Cala Montjoi – 17480 – Roses – Girona (Spagna) Menù degustazione: 250 €
Rafa’s – Peix i marisc fresc de Roses – Calle Sant Sebastià, 56 – Roses – Giorona (Spagna): 40-100 €
Poiché dopo una cena di questo livello il tasso alcolico non consente di guidare, è bene fermarsi almeno per una notte a Girona. Questo sito è un valido aiuto per trovare un hotel in città.