Marocco

Salàm Islam

Riflessioni da un Kasbah Marocco

Testo di Giuseppe Pompili

Islam. Alla lettera significa "sottomissione alla volontà di Dio". Chi ha visitato i paesi arabi più ortodossi non può che rimanere colpito dinanzi alla coesistenza in Marocco di due mondi distinti, separati da secoli. Di due stili di vita radicalmente diversi, che portano a modi alternativi di concepire la società. L'uno condivide il medioevale insegnamento del Corano e perpetua l'antica consuetudine, la shari'a. L'uomo indossa la jellaba e la donna si ricopre di nero, l'abito della tradizione, in sintonia col passato. L'altro esalta la discontinuità, rinnegando la memoria. Veste il conformismo casual della moda occidentale e segue il modello diffuso dalla televisione satellitare, fatto di cliché universalmente noti alle giovani generazioni del pianeta. Il cambiamento è più evidente nelle città, ma è visibile anche tra i villaggi berberi dell'Atlante e più giù ancora, sino al limitare del deserto, tra le kasbah diroccate e le palmeraie degli wadi, ornate in primavera dal viola acceso dei fiori di iacaranda.

 

I muezzin invitano i fedeli alla preghiera, ora come un tempo. Il grido amplificato risuona cinque volte al giorno dall'alto dei minareti quadrati in stile andaluso, indistinguibili dai campanili nostrani se non per l'assenza della croce, ma sono sempre di meno coloro che rispondono al richiamo, prostrandosi verso est, in direzione della Mecca.

 

Le case fortificate del sud, gli ksar, sono abbandonate ad un ritmo crescente e, private dell'indispensabile manutenzione, si sfaldano sotto le intemperie. I muri perimetrali, plasmati su uno scheletro di pali ricoperti da un impasto di paglia e argilla, il pisé, si sciolgono durante gli acquazzoni che trasformano gli oued da asciutte pietraie in fiumi impetuosi. E coloro che non si perdono d'animo, che desiderano restare abbarbicati alle proprie radici per ricostruire, devono opporsi al seducente richiamo della città, che attrae con false lusinghe di modernità e di un'attività diversa dal modello avito della pastorizia o dei campi. Non è per caso che i vecchi castelli sopravvivono solo ristrutturandosi in confortevoli alberghi, come quello di ben Moro, a Skoura, ceduto dai proprietari ad un consorzio a capitale spagnolo per restauri che daranno origine ad un bel funduq per turisti.

 

Di giorno, i televisori nella hall degli alberghi sono sintonizzati sull'ultima puntata di Beautiful, ma di sera, non appena gli spettatori si diradano, le parabole si sintonizzano su programmi più piccanti, dove longilinee modelle danzano la macarena coperte solo da un minuscolo perizoma. Molti bar e ristoranti di Fez e Casablanca servono birra e vino. Di giorno non è raro incontrare ubriachi che vagano lungo le strade cittadine. Una tale tolleranza ed elasticità non è spiegabile solo con i quarant'anni di protettorato francese. Il calore che il marocchino medio mostra nei riguardi del forestiero, specialmente verso chi conosce qualche parola d'arabo e appare curioso delle usanze locali, è intenso e sfugge alle interpretazioni stereotipate. Non è banale indiscrezione, invidia, calcolo, ma l'indice di un carattere che, a modo suo, è unico tra gli abitanti del mondo arabo. E' un dato fisiologico, legato al cosmopolitismo del paese, al contatto frequente con lo straniero, alla vita di un popolo che da sempre traffica, commercia e vive sospeso tra due mondi, l'occidente ricco e industrializzato a cui anela far parte, e un'anima berbera e nomade, irriducibile, pervasa dall'orgoglio della propria identità. Questo spiega sia l'appoggio popolare a Saddam Hussein, all'epoca della guerra del Golfo, sia gli equilibrismi politici del sovrano e capo dei fedeli, Hassan II, il cui merito principale è quello di voler traghettare il paese verso la stabilità politica ed economica. La convivenza tra le anime variegate del Marocco non è indolore e ci lascia una parte di responsabilità. Si manifesta nell'assillante insistenza delle pseudo-guide, che aggressivamente ti inseguono sin dentro la medina. Siamo noi che li abbiamo resi così. Questo non è il Marocco, ma solo una scheggia dell'economia del Maghreb che ha fatto dell'improvvisazione un mezzo di sopravvivenza, a un tempo vittima e carnefice di un turismo sovente poco preparato e responsabile. Altre volte le tensioni sociali sfociano in aperta violenza, repressa con misure di polizia contro le manifestazioni sindacali di protesta per la disoccupazione, piaga nazionale che alimenta il fondamentalismo. E l'assoluto bisogno di un'occupazione stabile porta al paradosso del lavoro minorile, sfruttato con metodi arcaici. A Fez, artigiani bambini sono impiegati per decorare le ceramiche, mentre altri, meno fortunati, alimentano i forni coi residui della spremitura delle olive. Il caldo è insopportabile. Il fumo, nero come pece, si alza in volute solide, lasciando sottovento un appiccicoso fondo di fuliggine. I bus turistici vanno e vengono, ma chi è destinato a restare sono loro, piccoli schiavi che l'ingordigia dei padroni chiama operai: una bestemmia. Peggior sorte tocca a chi lavora nelle concerie e nelle tintorie sperdute all'interno dell'intricatissima medina. Ancora una volta lo scenario è infernale. Un tanfo nauseabondo di cuoio non conciato ammorba l'aria là dove gli uomini pestano le pelli, immersi alla cintola entro vasche circolari colme di colorante, simili a spettri. In tal modo si fabbricano gli indumenti in pelle, i portafogli e le borse che vediamo in vendita per poche lire agli angoli delle strade, fin sotto casa nostra.

 

Se Fez è la testa del Marocco, Marrakech ne è il cuore. Nel cuore del cuore sorge Djemaa el-Fna, circo all'aria aperta, corte dei miracoli, ritrovo di freak d'altri tempi, incantatori di serpenti, lottatori, ciarlatani, maghi, cantastorie, venditori d'acqua, cavadenti ed altro ancora. Da sempre la piazza costituisce in sé stessa un'attrazione, un punto di ritrovo, l'epicentro di una variopinta umanità. Le bancarelle della piazza imbandiscono di tutto, dai kebab alle interiora di montone, mentre nelle botteghe a lato si può contrattare qualsiasi articolo, mercanteggiando strenuamente per un autentico "taroccato" souvenir marocchino (dividere il prezzo per quattro). Da sempre questo luogo attrae individui di ogni specie, dai gruppi Club Med ai viaggiatori indipendenti, tutti in cerca di quella magia inafferrabile che si nasconde tra gli odori ora pungenti ora delicati, tra i suoni melodiosi e dissonanti, tra i colori accesi della grande piazza. Sui tetti tutto attorno sbocciano le parabole satellitari, nuovi fiori tecnologici che contendono lo spazio vitale ai nidi delle cicogne.

 

Il primo impatto con il Marocco si ha a Casablanca, moderna metropoli cosmopolita, caotica e invasa dal traffico, che allunga i suoi ampi boulevard tra il porto e una sterminata bidonville da terzo mondo. In questo non luogo, la monarchia alawita ha voluto creare in riva al mare un simbolo unificatore, la più grande moschea del mondo dopo quelle della Mecca e della Medina. Un'opera dedicata al re, la cui costruzione, terminata da pochi anni, ha coinvolto tutto il paese in una gara di solidarietà. I marmi pregiati, il soffitto apribile rivestito di cedro intarsiato d'Ifrane, i lampadari in vetro di Murano, pesanti una tonnellata ciascuno, il minareto alto duecento metri, gli hammam (bagni turchi) piastrellati con maioliche colorate, la sala delle abluzioni ornata da opalescenti fontane di marmo di Carrara, sono altrettanti simboli di lusso e potenza. C'è da chiedersi se le possenti porte della moschea, fuse in lega di rame e titanio, come ci spiega con malcelato orgoglio la guida, riusciranno a sopravvivere al cambiamento in atto nella società maghrebina o se sarà la salsedine ad avere per prima la meglio. Perché anche se la fermezza della locale polizia turistica riesce a frustrare il desiderio delle liceali che affollano la grande spianata rivestita di marmo bianco davanti alla moschea di comunicare con noi, la loro spontanea curiosità non potrà andare sempre delusa. La repressione di oggi contribuirà unicamente ad aumentare la sete di conoscenza, la loro ansia di giovani donne di parlare, di confrontarsi con noi occidentali portatori di valori diversi. E loro, cittadine di serie B, costrette a chiedere sempre permesso ad una società al maschile, impersonata di volta in volta dal padre, dal marito, dal fratello o dal poliziotto, vanno maturando una consapevolezza nuova. Per alcune è il ritorno alla tradizione islamica, il rifiuto dei disvalori dell'occidente, per altre è l'anelito ad una maggiore libertà e autodeterminazione. Al di là della giustificazione di tutelare la nostra sicurezza dall'invadenza delle guide non autorizzate (chissà poi perché quando a rivolgerci la parola erano dei ragazzini intraprendenti nessuno ha detto loro niente) l'intento non dichiarato è quello di scoraggiare ogni contatto diretto con le studentesse, forse per ostacolare quanto possibile, più che il declino dei costumi, l'inevitabile presa di coscienza dell'universalità dei propri diritti.

 

L'islam è negazione dell'immagine, rapporto diretto e personale con dio, e questo contrasta con l'opulenza e la mole della moschea Hassan II di Casablanca, testimone di una verità taciuta nelle spiegazioni ufficiali, tese unicamente a sottolinearne l'importanza per ravvivare l'arte locale e dare lavoro a tanti valenti artigiani. E' la testimonianza, muta ma eloquente, di un grande vuoto che ci illumina riguardo alla nostra comune condizione di figli del secolo. Abbiamo tutti, qualunque sia la nostra fede, sempre più bisogno dell'immagine per credere nel reale e di accumulare testimonianze per essere certi di aver vissuto. Da qui l'orgia di videocamere e fotografie nei luoghi turistici ma anche la spiegazione del kitsch religioso dei santuari. E' la prova che oggi i luoghi, i simboli, e la loro rappresentazione, hanno la meglio sulla realtà, sull'esperienza vissuta senza mediazioni, direttamente in prima persona, con buona pace nostra e dell'Islam.

Maggio 1999

Bibliografia

  1. Frances Linzee Gordon, Dorinda Talbot, Damien Simonis Marocco - a Lonely Planet travel survival kit - Australia 1998 - 4ª Edizione, pp.590 con foto a colori, 45.000 £.
  2. Guida in lingua italiana della EDT. A. J. Arberry - Introduzione alla mistica dell'Islam - Marietti 1986, pp.111 £ 18.000.