“Sentirse poco donde hay mucho,
y ser alguien donde no hay nadie”
Anonimo
”Quien come Calafate siempre quiere volver”. Reduce dal secondo e già lanciato nella progettazione del mio terzo viaggio in Patagonia, comincio a sospettare che c'è del vero nel vecchio detto che afferma che colui che mangia le bacche dell'arbusto del Calafate, sarà per sempre consumato dalla nostalgia del ritorno. Ma, più che uno stimolo epigastrico, le suggestioni che mi hanno fatto amare questa terra ancor prima di conoscerla sono condensate in due film: "Fergus O'Connell, dentista in Patagonia" di Carlos Sorin e "Il Viaggio" di Fernando Solanas. Come non ricordare il suadente "Buongiorno, Patagonia", affidato via radio ai cieli senza fondo della pampa dalla voce sensuale di un'annunciatrice. O il solitario dentista itinerante, in sella al suo sidecar, mentre attraversa gli spazi sconfinati della Patagonia per diffondere il verbo dell'igiene orale. La sua battaglia non era tanto contro la carie ma soprattutto contro la paura, l'indifferenza e l'ignoranza dell'establishment. L'unico risultato, il solo che sarebbe riuscito ad ottenere pur non cercandolo, sarà l'amore di Estella. Oppure ancora il grande affresco allegorico del Viaggio di Solanas, la cui trama prende a pretesto il desiderio di un giovane di ritrovare il proprio padre naturale. Principio e fine del Viaggio è Ushuaia, la città più meridionale del mondo. Una ricerca che, più di un'avventura, diviene un rito d'iniziazione. Il protagonista ritorna al punto di partenza, al termine di un lungo itinerario che lo ha portato a scoprire le contraddizioni del Sudamerica. Senza più nessuno da amare, senza più nessuno da odiare, avendo imparato a vivere tra il disordine e il disincanto.
Una caratteristica comune delle terre che si allungano verso le estremità del mondo, è la scarsità della presenza umana. Noi che viviamo prigionieri di città rumorose e affollate, che rasentiamo la misantropia a causa dei contatti non sempre piacevoli con i nostri simili, proviamo sempre un senso di vertigine di fronte ai grandi spazi vuoti. Per lo stesso motivo, nelle regioni disabitate si stempera più che altrove il tourist angst, la tormentosa sensazione di essere, dopo tutto, un turista come gli altri. Ma la magia delle leggende, la forza evocativa delle immagini o la bassa densità di popolazione non bastano da sole a giustificare una passione per questa terra desolata e selvaggia. La vera forza d'attrazione dell'ultimo lembo di Nuovo Mondo colonizzato dagli europei sta nel riassumere in sé alcune tra le metafore fondamentali della vita, l'andare come scorrere del tempo, il mare come immensità, l'immobilità come morte, archetipi senza età che sono inscritti nei cieli profondi, negli orizzonti, nelle rocce e nelle foreste della Patagonia. La regione compresa fra i 47 ed i 55 gradi di latitudine sud, identificabile nelle provincie delle città cilene di Puerto Aisen, Puerto Natales, Punta Arenas e Puerto Williams e argentine di Perito Moreno, Rio Gallegos e Ushuaia, corrisponde ad un'area geografica simile ad un cuneo, che si spinge in profondità nell'oceano australe. Le condizioni climatiche sulla costa rivolta al Pacifico sono abitualmente pessime a causa del susseguirsi delle perturbazioni del Fronte Polare, che scaricano la loro violenza, l'una dopo l'altra, contro le vette delle Ande meridionali. Le montagne dello spartiacque non sono particolarmente alte, ma svettano verticali a sfidare i migliori alpinisti, gelate come ghiaccioli.
Navigando verso sud lungo le coste cilene si devono abbandonare le acque tranquille dei fiordi dell'arcipelago delle Chonos per fare conoscenza con sua maestà l'Oceano Pacifico. Che non è poi sempre così calmo. Si balla non poco durante la circumnavigazione della Penisola di Taitao, prima di riparare nei bassi fondali del Golfo de Peñas. La preoccupazione indotta dai lamenti delle catene che assicurano al ponte della nave i pesanti autocarri è poca cosa se paragonata al malessere provocato dal mare grosso nei marinai d'acqua dolce come noi. Ma anche gli autentici lupi di mare hanno avuto i loro problemi attraversando queste acque burrascose. Durante il periplo del continente, dovendo doppiare Capo Horn per passare da un oceano all'altro, era consuetudine stimare i gradi di latitudine dalla forza dei venti: ci si arrischiava ad oltrepassare i 30 fischianti per arrivare ai 40 ruggenti e finire nei 50 urlanti. I naufragi famosi avvenuti al largo o sulle coste della Patagonia non si contano, e oggi delle gloriose navi del passato non restano che relitti. Le carcasse metalliche dei bastimenti si sono trasformate in un'attrazione per turisti, come quella del veliero Kantly sulla spiaggia di Punta Loyola, presso Rio Gallegos. E più a sud? Oltre Capo Horn ci sono le acque più tempestose di tutti i mari, quelle del canale di Drake, dove i cicloni dell'oceano australe fanno il giro del mondo senza incontrare terre emerse sul loro cammino, avvitandosi su se stessi come cavatappi.
La piovosità sulla costa pacifica arriva a 5 metri annui, mentre non supera qualche centimetro nella foresta pietrificata, un'arida steppa desertica, trecentoquaranta chilometri ad est della cappa di ghiacci di San Valentino. Ma dove c'è acqua c'è vita, e la sorpresa più grande è quella di scoprire che, all'estremo sud, grandi foreste ricoprono le montagne della Terra del Fuoco, i rilievi dell'isola di Wellington e le colline di Navarino. In pochi altri luoghi al mondo la vegetazione convive a livello del mare con l'inlandsis, il ghiaccio continentale. I boschi si arrampicano sui fianchi delle montagne e nelle valli libere dai ghiacci intorno al massiccio del Paine, o del Fitz Roy. A dispetto della latitudine, e contrariamente all'America settentrionale dove prosperano le conifere, in Patagonia gli alberi crescono bassi, esibendo foglie piccole e appiattite. Le piante sono costrette dai forti venti a svilupparsi in forme contorte e asimmetriche. La specie più diffusa è nota come lenga ma questo nome è raramente usato. La gente preferisce chiamarli alberi bandiera, perché sono piegati nella direzione del vento che spira in prevalenza dalle Ande all'Atlantico. Il lato rivolto a sud è ricoperto da spessi strati di muschio, come per proteggersi dal vento e dal gelo, il contrario di quanto avviene nell'emisfero boreale. I rami sono secchi, decrepiti, e il colore è quello della cenere. Il legno, nodoso, è solcato da un reticolo di profonde fessure. Tronchi di modesta dimensione datano secoli, là dove l'età parrebbe doversi misurare solo in decenni. Nelle pianure e sugli altipiani, dove la piovosità è molto scarsa, cresce unicamente una varietà d'erba dura e secca di cui solo le pecore riescono a cibarsi. Ecco perché il basso reticolato di filo spinato, la tranquera, che per centinaia di chilometri delimita i confini di proprietà, è divenuto simbolo, e sinonimo, di estancia. I ranch della patagonia non sono semplicemente grandi, sono enormi. Le zone di pascolo recintate ospitano decine o centinaia di migliaia di ovini, che vivono in pratica allo stato brado e con la loro lana costituiscono la principale fonte di ricchezza del Sud.
La Patagonia è straordinariamente ricca di fossili. Alcuni reperti, ricoperti da ceneri vulcaniche o protetti da strati di fango conservano ancora parti organiche mummificate. Come il pezzo di "pelle di brontosauro", portato alla ribalta mondiale dall'oscuro baule del nonno di Chatwin grazie alla fantasia e all'abile penna dello scrittore. Il ritrovamento del reperto, che forse ha contribuito ad orientare l'irrequietezza del giovane Bruce verso le terre australi, consisteva in un brandello di pelle fossile che il nonno aveva trovato qualche centimetro sotto terra in quella che oggi è universalmente nota come Cueva del Milodon. Sino a pochi anni fa, sembrava fosse sufficiente grattare il fondo sabbioso della caverna per cavarne fuori ogni sorta di mirabilia. Oggi, per scorgere un pezzetto mal fossilizzato di pelle di milodonte occorre spingersi fino al Museo di Storia Naturale di Santiago. Le enormi distanze e gli inverni lunghi e gelidi hanno isolato la Patagonia meridionale dal resto del mondo fino alla fine del secolo scorso. Poi sono arrivati gli emigranti gallesi a popolare la valle del fiume Chubut e hanno costruito villaggi dai nomi curiosi, come Gaiman o Dolavon. Parole che evocano assonanze celtiche, più che latino americane. Le nuove terre di missione hanno visto giungere pastori anglicani come Stirling e Bridges, che hanno fondato Ushuaia, a fianco dei padri salesiani di Giuseppe Fagnano, a Rio Grande. Tuttavia, il vero fascino che le regioni australi esercitano sul viaggiatore dimora su aspetti tutt'altro che selvaggi. Mentre in Siberia, a Khatanga, si riesce tutt'al più a trovare del pesce in scatola sugli scaffali spogli dei negozi, a Castro, sull'isola di Chiloè, si gustano dolci deliziosi alla Pasteleria Alemana di Plaza de Armas. Puerto Natales mi fa ricordare il pinot grigio di marca Undurraga e la centolla, il granchio gigante dalla polpa delicata che vive solo nelle fredde acque australi. Ad Ushuaia ci si inebria con un Irish Coffee fatto ad arte, persino migliore di quello che si trova nei caffè di Dublino. Se poi si inizia la giornata facendo colazione con la cioccolata artigianale preparata in Avenida San Martin, persino migliore della Lindt, allora è davvero incominciato un buon giorno, in Patagonia.