Affascinante e indecifrabile, fragile e obliato, il Kashmir corre il rischio di mutarsi in un cliché letterario, proiezione delle rutilanti descrizioni dei libri sempre più offuscata nel ricordo dei viaggiatori. I venti di guerra non contribuiscono certo a rassicurare quanti vorrebbero tornare e gli attentati ricorrenti scoraggiano i restanti. Tutto questo ha portato ad un crollo verticale del turismo straniero, da alcuni anni praticamente scomparso, e a una sostanziale riduzione di quello indiano. Ma la parola scritta tradisce sempre la realtà e nessuna narrazione riesce a descrivere pienamente la seduzione di un soggiorno nello stato indiano più settentrionale.
Percorrendo la strada che da Delhi porta a Srinagar si attraversano le pianure indiane del nord, vaste distese marroni bruciate dal sole estivo, quindi le ricche terre coltivate del Punjab, la cui vegetazione non avvizzisce neppure sotto al torrido sole. Le montagne più alte si avvistano per la prima volta dopo il passo di Banihal, dove si transita in quello che è forse l'unico tunnel stradale esistente in India. Il paesaggio cambia radicalmente subito dopo il passo, dispiegandosi come un enorme tappeto verde e oro in una scacchiera regolare di campi e prati divisi da un reticolo scintillante di fossati e canali navigabili: è la Valle del Kashmir.
Dal punto di vista amministrativo, la Valle fa parte dello stato indiano di Jammu & Kashmir che si eleva in ampie terrazze sulle pianure sino ad includere monti, valli e altipiani. A sud, ai piedi delle colline, si trova il distretto di Jammu. In direzione nordest torreggiano invece le vette della grande Himalaya, che racchiudono la selvaggia bellezza del Ladakh. Per la maggior parte delle persone, tuttavia, il Kashmir coincide con l’omonima Valle, circoscritta da un magnifico anfiteatro di montagne.
Il Jammu & Kashmir nasce in tempi recenti dall’unione di svariati gruppi etnici, linguistici e religiosi. Essendo il Kashmir a maggioranza musulmana, alcuni di questi gruppi hanno cercato l'indipendenza o l'unione con il Pakistan. Per la minoranza fondamentalista il terrore rappresenta lo strumento politico per eliminare o allontanare tutte le minoranze che non desiderano la rottura con l'India. Ci sono parecchi gruppi musulmani in campo, ciascuno dei quali persegue il proprio obiettivo, anche se non tutti hanno scelto la violenza come strumento di lotta. Sarebbe quindi sbagliato riferirsi agli eventi nel Kashmir come ad una lotta per la libertà. Similmente al teatro delle ombre cinesi, comprendere i recenti avvenimenti richiede una profonda conoscenza della storia, unita ad una considerevole dose di fantasia. In questa tragedia, gli attori principali sono i governi dell'India e del Pakistan assieme ad alcune fazioni musulmane della valle del Kashmir. I ruoli dei governi indiano e pakistano sono abbastanza chiari. Il governo indiano esige la restituzione di quella parte di territorio ora sotto il controllo del Pakistan, ma Nehru ed i governi successivi hanno lasciato intendere che sarebbero, in subordine, disposti ad accettare l’attuale linea di cessate il fuoco come confine internazionale. Dal canto suo, il Pakistan vorrebbe tutta la Valle del Kashmir perché ha una maggioranza musulmana. Il motivo sembra ragionevole, perché il Pakistan stesso si staccò dall’India nel 1947 conservando le regioni a musulmane. Ma alla luce della relativa ricchezza e della consolidata industria turistica del Kashmir questa pretesa rivela altri, più prosaici, interessi. L'India ed il Pakistan hanno combattuto quattro guerre per il controllo della Valle: nella prima, la lotta si è limitata al Kashmir. La seconda si è trasformata in un conflitto generale. La terza ha avuto inizio nell'area orientale del Pakistan ma si è poi estesa a tutto il Kashmir. La guerra più recente è stata combattuta per procura attraverso agenti pakistani infiltrati, è iniziata nel 1989 e sta ancora continuando.
Srinagar, la “città felice della bellezza e della conoscenza”, nonostante le attuali dispute e la conseguente instabilità politica, è stata per secoli uno dei principali centri culturali e filosofici dell’Asia. I passi montani attraverso cui entravano gli eserciti invasori erano impiegati sia a fini di conquista sia per i commerci. Dagli alti valichi giungevano non soltanto seta e spezie ma anche nuove idee. Srinagar sorgeva al crocevia dei principali itinerari commerciali tra India, Asia centrale e Cina, aprendo il Kashmir alle influenze greche, persiane, tibetane e cinesi, così come a quelle provenienti dal subcontinente indiano. La risultante è ciò che ha reso unico il Kashmir.
Ma c'è molto altro ancora, ad iniziare dal paesaggio: una valle lussureggiante solcata dai fiumi e costellata di laghi, ai piedi di regioni boscose a loro volta racchiuse da montagne incappucciate di ghiaccio. L'inconsueta varietà di alberi, fiori e frutti: dal cedro dell'himalaya al chinar al pioppo. Il colore rosa pallido dei boccioli di mandorla in primavera. I fiori di loto che sbocciano al tepore della tarda estate. Le ciliegie che, come pietre preziose, splendono di porpora entro cassette di legno. Le coltivazioni di zafferano di Pampore che, in autunno, si estendono a perdita d'occhio. E poi c'è la ricchezza degli oggetti d'artigianato, in grado di evocare delicate sensazioni tattili: l'impressione di morbidezza dei famosi scialli tush di lana pashmina che scivolano tra le dita come burro; la cerea levigatezza delle tavole di legno di noce; i manufatti di cartapesta, ruvidi al tocco ma meravigliosi a vedersi; il violento contrasto tra la trama grezza del numdah e la morbidezza di un tappeto a nodi fitti. E poi ancora il cibo: gambi di loto al curry, verdure speziate e karam sag, braciole fritte, montone cucinato in salsa di yogurt e spezie, polpette di carne finemente macinata cotte in salsa cremosa di cardamomo, latte e brodo ristretto, il tutto mandato giù con l'aiuto di tazzine di kahwa, il tè speziato alla cannella, cardamomo e zafferano. E infine la gente, mescolanza di razze e religioni: dagli ariani agli sciti ai mongoli. Il bel suono melodioso della lingua kashmira. Hindu, musulmani e buddisti, volti e immagini più vicini all'Asia centrale che alle pianure dell'India. L' abbondanza di testimonianza storiche, dalla sobria maestà del tempio del sole a Martand, all'eleganza formale dei giardini Moghul. Queste sono le principali attrattive del Kashmir: in India ci sono altri luoghi che ne hanno alcune, ma soltanto in Kashmir ci sono tutte e con questi fili è tessuta l'esperienza di un viaggio attraverso la Valle.
La creazione del Kashmir, avvolta in un alone di fantastico e di mistero, è descritta da una leggenda. Un tempo, la Valle era un vasto lago, “profondo come il cielo” e terreno di gioco per gli dei. Ma fu preso di mira da un demone che lo devastò, saccheggiando la popolazione che ne abitava le rive. In preda alla disperazione, la gente si appellò al santo Kashyap perché li salvasse, cose che egli fece creando una depressione ad ovest che svuotò il lago dalle sue acque. Il demone fu ucciso e la Valle fu chiamata Kashyapa, o Kashmir, in onore del suo salvatore. Per quanto possa sembrare strano, i paleontologi hanno scoperto a grandi altezze in Kashmir fossili di coralli e di altri animali marini.
L'acqua è il fulcro della Valle del Kashmir, importante quasi quanto una fede. Se ne ode il suono dappertutto, data l'abbondanza di sorgenti, fiumi e laghi. La parola kashmira nag significa sia serpente che sorgente: in tempi antichi, infatti, il culto del serpente era praticato in prossimità delle fonti. Gli abitanti del Kashmir sono un popolo d'acqua all'interno di un paese montuoso, completamente privo di coste. I corsi d'acqua navigabili offrono le vie d'accesso più semplici ai traffici e alle comunicazioni in un territorio fatto per un terzo di montagne e per un terzo d'acqua. Il principale è il Jhelum, il Vitasta dell'antica leggenda, le cui acque erano, di volta in volta, portatrici di prosperità o rovinose inondazioni.
Una delle sorgenti del Jhelum è l'incantevole fonte di Verinag nel sud-est della valle. L'imperatore Moghul, Jahangir, vi costruì un giardino tutto intorno, all'estremità superiore, oltre i viali di chinar. Da una profonda vasca ottagonale origina il corso del fiume che si piega in un arco serpeggiante da sud-est a nord-ovest. Il Jhelum è navigabile per quasi 160 chilometri, ad iniziare dalla sua estremità orientale di Anantnag, oltre i campi di zafferano di Pampore. Il corso si snoda sin nel cuore di Srinagar con una curva ad "S" rovesciata, riversandosi poi nel lago Wular e, di là, fino all'estremità occidentale situata poco prima di Baramula. Il fiume, i relativi tributari ed i canali sono vivi, attraversati dalle imbarcazioni degli Hanjis, che vantano una discendenza da Noè in persona. Data la loro abilità nella costruzione di barche, questa pretesa potrebbe benissimo esser vera. Le imbarcazioni locali comprendono il bahatch, un chiatta dalla prua rialzata capace di trasportare carichi pesanti, ed il doonga, più piccolo del bahatch, sorta di abitazione acquatica fatta di giunchi intrecciati. La shikara, imbarcazione sottile dall'aspetto a gondola, è nota per il suo impiego come tassì galleggiante attraverso il lago Dal. Ma l'imbarcazione più nota di tutte è l'houseboat, la casa galleggiante che serve da albergo alla maggior parte dei turisti in visita a Srinagar.
La casa galleggiante fu la risposta britannica ad un editto del governatore di Dogra secondo cui nessuno straniero poteva possedere beni immobili in Kashmir. Costruite in legno di cedro stagionato, le prime houseboat erano piccole e molto mobili. Erano solite sfuggire al caldo dell'estate di Srinagar facendosi trainare lungo il fiume sino al lago Wular, all' ombra degli alberi di chinar. La stagione venatoria iniziava nelle luminose giornate autunnali e si protraeva per tutto l'inverno, quando si apriva la caccia all'anatra nei canneti dei laghi di Wular e Manasbal. Le houseboat attraccavano anche a Shadipur e persino più in basso lungo il fiume, sino a Bandipur, da cui ci si poteva inoltrare nelle foreste montane per la caccia all'orso.
Le moderne houseboat sono troppo grandi per consentire tale facilità di movimento. Sono visibili lungo le sponde dei laghi di Dal e Nagin, ormeggiate in una lunga linea irregolare, d'aspetto variabile tra il sontuoso e il malconcio, sebbene la forma di base sia la stessa. Una veranda sporge a poppa sopra l'ampia chiglia squadrata e conduce in un soggiorno impreziosito con pezzi d'arredamento in legno di noce intarsiato e tappeti favolosi. Andando oltre si trova la stanza da pranzo, e ancora più avanti, un corridoio che conduce alle camere da letto. Ad una certa distanza c'è la barca del cuoco, fonte di tutti i pasti. Le houseboat di lusso sono solite sfoggiare notevoli quantità di ricami in lana, tappezzeria e mobilia riccamente intagliata. Paradossalmente, lo stile non influenza il calore dell'ospitalità e non c'è esperienza paragonabile al soggiorno in una houseboat.
Parte della magia dell'houseboat sta nel semplice fatto di trovarsi sull'acqua e alle conseguenti vedute del lago e delle montagne. La poppa sopraelevata è il posto migliore per gustare le delicate e mutevoli
sfumature luminose dell'alba e del tramonto, ammirando gli uccelli planare sulla superficie dell'acqua. Lo shopping, inevitabile come il giorno e la notte, raggiunge la casa galleggiante sotto forma di shikara cariche di merci e di fiori. I pasdaran dell'artigianato irretiscono con una semplice e irresistibile strategia, martellante sino alla vittoria (o alla nausea) "Guardate solamente! Non dovete comprare nulla, ma a voi farò un prezzo speciale" e dalle profondità delle barche estraggono scialli, sete, tappeti, scatole di legno di noce o di brillante cartapesta smaltata.
Il miglior modo per accostarsi a Srinagar è salire su di una shikara e seguirne il percorso attraverso il cuore della città, oltre i canali ornati da ombrosi salici, fin sotto i vecchi ponti sul Jhelum. A prima vista, l'interno della città ha un aspetto spettrale. Le case di fango, mattoni e legno sporgono sulle sponde e alcune hanno un aspetto talmente cadente che paiono sul punto di sbriciolarsi da un momento all'altro. Altre sono effettivamente puntellate da tozzi pilastri di legno, crepati e ricoperti di muschio. Ma l'impressione di rovina e disordine si allontana di pari passo con l'apparire della vita. Il fiume è un luogo su cui la gente vive, al pari delle rive. Schiere di barche sono ormeggiate ai pali, emergenti dall'acqua come le briccole che costellano la laguna di Venezia. Le donne siedono a prua, macinando granaglie o chiamandosi a gran voce. Come qualsiasi strada importante, a intervalli regolari il fiume è costellato da scalinate che danno accesso ad un labirinto di stretti vicoli collegati alle vie retrostanti così da originare un flusso costante di attività fra acqua e terra. Raggruppate in prossimità delle sponde sorgono case, negozi, scuole, luoghi di lavoro e di culto: una diversità che poggia sul medesimo tessuto connettivo. I giardini pensili ed i frutteti cadono sul fiume sino a sfiorarne le acque e le finestre intagliate o graticciate aggiungono un tocco di colore. Dopo un'ora sul fiume, ci si rende conto che le costruzioni più brutte sono proprio quelle moderne, assemblate con anonimo cemento armato e riparate da un tetto di abbagliante lamiera galvanizzata.
Se lo spazio sul lungolago è privilegio di pochi, non è così presso i giardini Moghul di Shalimar, Nishat e Chashma Shahi. Qui si trova tutto lo splendore della Srinagar regale, dove la passione imperiale per la creazione di giardini è amplificata dalla bellezza dei panorami offerti dal lago e dalle montagne sullo sfondo. Il parco di Shalimar è immerso in un'aura di tranquillità e riposo. Le file regolari di fontane e alberi sembrano retrocedere verso le retrostanti montagne innevate. Alla domenica i bambini giocano con l'acqua, facendo danzare palloncini colorati sui getti delle fontane tra il disappunto del burbero custode. Il punto focale del giardino è l'arioso Padiglione Nero, situato nella parte posteriore della più alta delle tre terrazze, le cui linee aggraziate furono concepite per il diletto delle dame di corte. Se Shalimar è regale, Nishat ha un aspetto teatrale, con i suoi giardini fioriti, gli alberi secolari, le iridescenti fontane dalle acque spumeggianti nei doccioni intagliati. Le dodici terrazze rappresentano altrettanti segni zodiacali che in una graduale discesa sembrano quasi fondersi col lago.
I ponti sul Jhelum costituiscono un punto di vista su Srinagar, i giardini un altro. Ma per unavista panoramica dell'intera città, il migliore è la collina di Shankaracharya, anche denominata Takhi-I-Solaiman, il trono di Solimano. Di qui, è possibile abbracciare con lo sguardo la valle delJhelum e mirarne il corso tortuoso. Nella distanza, le nevi della catena del Pir Panjal splendono di un bianco immacolato contro il cielo blu e a sud-est si ammira la collina che sovrasta Anantnag, dove le acque limpide dei torrenti confluiscono ribollendo nel Jhelum all'inizio del suo corso navigabile. Più a valle si allunga Srinagar incastonata tra i laghi di Dal e Nagin, con le case assiepate, i santuari (tra cui la cosiddetta "Tomba di Gesù Cristo") e le antiche moschee.
La vista dal "Trono di Solimano" rammenta che il paesaggio del Kashmir è dominato dalle valli, i laghi e le montagne. Nascoste alla vista rimangono le acque del Wular, del Manasbal e dei laghi Gandarbal. Lontano, oltre l'ampia vallata il cui cuore è Srinagar, si trova la valle di Liddar alla cui estremità superiore sorge la stazione montana di Pahalgam, punto d'inizio di un cammino lungo e impegnativo che conduce al santuario indù di Amarnath. Questo pellegrinaggio attrae ogni anno migliaia di devoti. Un'altra strada conduce al picco di Kolahoi con la sua forma appuntita ad ago e il vasto ghiacciaio sottostante. A nord-ovest si apre la valle di Lolab, una pianura a mezzaluna popolata da foreste di cedri e pini, costellata da acetosella e pallide violette. La valle di Sindh è sulla strada che conduce in Ladakh e i suoi boschi rigogliosi sono simili a quelli che una volta popolavano le nostre Alpi: monumento vivente a ciò che abbiamo perduto.
Salendo i fianchi della valle si trovano gli alpeggi, vaste distese di prati fioriti chiamati marg. Il più noto tra tutti è Gulmarg, il "Prato Fiorito", una rientranza di forma circolare che domina la valle principale del Kashmir. Da Gulmarg parte una sciovia che in un migliaio di metri di vertiginosa salita sopra foreste di pini conduce agli alpeggi. Alcuni chilometri oltre, attraverso prati, boschi e creste si giunge infine ai pendii innevati del Khillanmarg. Nelle giornate limpide, i panorami dai prati di Gulmarg sono superbi: le colline si fondono col fondovalle, ai campi di riso e ai boschetti di noci e cespugli di more selvatiche. In lontananza, il sole riluce sui tetti zincati di Srinagar. Con un pizzico di fortuna, a settentrione, la vista spazia sulle grandi montagne dell'Himalaya fino al sommo picco del Nanga Parbat, che si staglia libero e nitido attraverso l'intera lunghezza della Valle, ad oltre cento chilometri di distanza. Attraverso la Valle, quasi in diagonale, si trova Sonamarg, il "Prato d'Oro", nel punto in cui il fiume Sindh si tuffa a capofitto in una gola. Sonamarg è una stretta fascia erbosa e pianeggiante impreziosita da stelle alpine e circondata da grandi picchi sui cui i fianchi brillano ghiacciai pensili. I fianchi delle montagne sono ricoperti da grandi foreste d'abeti argentati, sicomori e betulle: è uno degli ultimi avamposti di una natura incontaminata e sontuosa. A meno di trenta chilometri di distanza si trova il passo di Zoji-La, linea divisoria fra Kashmir e Ladakh, oltre cui giace un mondo completamente differente. Ma questo è un altro viaggio.