Il GR20 deve il suo nome al vecchio numero di dipartimento della Corsica. E’ il concatenamento tra i sentieri più belli, duri e selvaggi d’Europa. Concepito dal francese Michel Fabrikant nel 1970, rappresenta ancor oggi un mito tra gli escursionisti. Il percorso taglia l’isola in diagonale, da nord a sud, per una lunghezza di 214 km e un dislivello di 13700 m, seguendo i caratteristici segni bianchi e rossi che dalle valli disabitate ammantate di foreste di pini larici conducono alle vertiginose creste di granito rosa delle montagne. L’itinerario si sviluppa tra Calenzana, nei pressi di Calvi, e Conca, un piccolo paese non lontano da Porto Vecchio. A caratterizzarne il paesaggio sono i contrasti fra il cremisi delle rocce, lo smeraldo delle foreste, il blu cupo degli specchi d’acqua e il nitore dei nevai. Da questa grande bellezza è scaturita l’idea, temeraria, di proporre ai soci CAI il “Fra li Monti” integrale in due settimane. Il caso ha voluto si formasse un piccolo gruppo di sole donne, tutte agguerrite escursioniste, diversamente giovani ma allenate e determinate, assortite tra le sezioni di Padova, Imola e Ancona. Se mai ce ne fosse bisogno, abbiamo ancora una volta avuto la conferma della superiore forza di volontà, preparazione e audacia del gentil sesso. In una mite alba d’inizio settembre ci siamo dunque imbarcati sul ferry da Livorno per Bastia, raggiunta in poco più di quatto ore di tranquilla navigazione. La corriera per Calvi ci ha infine portati a destinazione in due ore. Il mattino dopo, un taxi ci ha lasciato a Calenzana, punto di partenza del trek.
Nonostante il notevole dislivello in salita, la prima giornata non presenta particolari difficoltà a eccezione di un tratto roccioso a metà percorso. Il GR20 è un cammino per normali escursionisti, purché bene allenati: non ci sono tratti di ferrata o arrampicata. S’incontrano però alcune catene metalliche e zone in cui si deve “ravanare”: terreni su cui non si cammina agevolmente ma dove per progredire è necessario aggrapparsi a rocce ripide e irregolari, usando le mani per restare in equilibrio (a volte anche le ginocchia). L’unico vero disagio della nostra prima giornata è stato tuttavia un forte temporale pomeridiano, con tanto di tuoni e saette, che ci ha sorpreso a meno di un’ora dal rifugio d’Ortu di u Piobbu. E’ stato questo il benvenuto che il GR20 ci ha riservato, un ammonimento bagnato, quasi un battesimo, anche se per fortuna è stato l’unico di tutto il viaggio. Risultato: nonostante indossassimo una giacca in goretex sotto alla mantella impermeabile, siamo arrivati bagnati fradici. Ironicamente, il nubifragio è finito di colpo non appena raggiunta la meta. Il rifugio originale in realtà non c’è più, dato che l’edificio è stato distrutto da un incendio nel 2019. In attesa della ricostruzione, accoglienza e cucina si trovano ora in due minuscoli prefabbricati mentre le tende sono montate nell’umido sottobosco circostante. La scelta di percorrere il GR20 in settembre, in periodo pandemico, con tutte le complicazioni dovute a certificazione verde e mascherine, ha avuto almeno un vantaggio: abbiamo trovato sempre posto o nelle tende già montate presso i rifugi o all’interno degli stessi, di solito assai affollati anche in tarda estate. Avevo prenotato il possibile prima di partire, persino in corso di viaggio sugli alti colli tra una tappa e l’altra (per es., grazie a pnr-resa.corsica) ma in un paio di rifugi è stato vano a causa del tutto esaurito o per le difficoltà d’accesso alla rete in mezzo agl’impervi monti del nord. In ogni caso, ciascuna coppia del nostro gruppo disponeva di una tenda che per fortuna non è mai stato necessario utilizzare. La promessa dell’autosufficienza, testimoniata da zaini pesanti sino a 14 kg, ci ha comunque garantito, in qualche modo misterioso, di trovar sempre posto. Abbiamo cenato all’Ortu di u Piobbu su un solido tavolaccio in larice massiccio, antistante l’épicerie, da cui ci siamo goduti il primo di una serie di tramonti infuocati, rinfrancati da una generosa porzione di pasta al sugo accompagnata da un’assiette di formaggi di capra con ruspante salame corso. Come dessert, una tarte au chocolat. Il mattino dopo partiamo rilassati, per conservare le energie. Nel corso della lunga seconda tappa il sole luminoso e caldo riesce ad asciugarci completamente. Sei ore e mezzo di cammino e tre colli (passi) dopo giungiamo al rifugio Carrozzu, dove possiamo fare la prima doccia. Se devo spendere una parola a favore delle spartane sistemazioni lungo il GR20, è senz’altro per le docce calde e gratuite che si trovano pressoché in tutti i rifugi.
Il terzo giorno facciamo una tappa breve, poco più di cinque ore, che ci portano al piccolo centro sciistico di Ascu Stagnu. La discesa verso Ascu sembra non finire mai: avviene su massi e placche di granito prive di un sentiero ben definito. Per la direzione ci si deve accontentare dei segni bianchi e rossi dipinti sulla roccia. A volte occorre aggrapparsi ai roccioni puntando i bastoncini, altre volte ci si lascia scivolare con le gambe distese. Ascu Stagnu è raggiunto da una strada asfaltata, quindi rappresenta la prima via di fuga per chi vuole abbandonare il GR20. Il minuscolo borgo dispone di un hotel con annesso ristorante, un rifugio e alcuni bungalow privati oltre agli edifici di servizio dello skilift. Il quarto giorno implica la tappa più dura. Da Ascu il sentiero sale ripido per quattro ore fino ad arrivare alla Punta Eboulis, 2607 m, il colle più alto di tutto il GR20. Da qui, una deviazione a sinistra (mal segnalata da radi e sbiaditi bolli rossi) segna il cammino verso la vetta del Monte Cinto. Più che seguire un sentiero si tratta di arrampicare a vista tra placconate e blocchi instabili, in mancanza d’indicazioni evidenti. Il percorso è adatto a molti, ma non è per tutti. Raggiunta la vetta in 45 minuti dal colle, ho potuto ammirare per l'ultima volta Calvi assieme a buona parte della costa nord della Corsica. Sfortunatamente la foschia sul Tirreno ha precluso la vista delle isole dell’arcipelago toscano e della terraferma italiana. Mi ritrovo col resto del gruppo poco dopo mezzogiorno, al colle di Punta Crucetta. Qui volgiamo un ultimo sguardo al profondo blu del lago di Cinto per poi scendere il ripido e ciottoloso sentiero che in due ore porta al rifugio Tighjettu. L’anziano gestore, un pastore corso doc, sembra prenderci in simpatia quando capisce dalla scarsa pronuncia che siamo italiani e, passando al dialetto corso, da buon venditore inizia a decantare la sua densa zuppa di lenticchie con salsiccia. A suo dire è un vero toccasana per gli affamati a corto di calorie, insaporito com’è da pezzi di pane e pancetta. Lo proviamo? Dopo tanta pubblicità, ça va sans dire! Nell’interno aspro e selvaggio della Corsica la distinzione tra bergerie e rifugio è molto labile: spesso i gestori sono pastori che offrono stagionalmente ospitalità nei loro recinti, fianco a fianco con gli ovili. L’idea di sederci comodamente a un tavolo, data la stanchezza, prevale sulla prospettiva di cucinare in proprio, come invece fanno molti degli altri avventori. Va detto che la maggior parte degli escursionisti incontrati lungo il GR20, a nord come a sud, sono giovani, perlopiù francesi. Abbiamo incrociato anche qualche inglese e alcuni tedeschi ma nessun italiano, probabilmente a causa della situazione pandemica unita all’aura sinistra che, chez nous, circonda il “Fra li Monti”, supportata da molti racconti spaventosi (spesso esagerati).
La giornata del quinto giorno ci vede camminare per otto ore filate, perlopiù in discesa, sino a Castel di Vergio. Usciamo dall’alta foresta di pini larici solo all’ultimo istante. La presenza della strada si annuncia dal rombo delle motociclette che vi sfrecciano. Del castello non vediamo neppure l’ombra ma, in compenso, troviamo posto nell’unico hotel della minuscola stazione invernale. Siamo provati, ma rinfrancati dalla prospettiva di dormire in un letto vero, darci una rinfrescata e cenare seduti a un tavolo. Non saremo soli: molti altri escursionisti seguono il nostro esempio. Sono solo piccole coccole, che però aiutano lo spirito, dato che ci troviamo ancora a un terzo della traversata e la parte restante appare eterna. Il mattino seguente decidiamo di sfruttare meglio la giornata, partendo all’alba. La distanza tra Castel di Vergio e il rifugio Manganu è la stessa di quella percorsa ieri, circa diciassette chilometri, ma oggi impieghiamo quasi due ore in meno. Il motivo è che questo tratto non presenta particolari difficoltà: saliamo gradualmente sino al passo Bocca di Reta per poi camminare in falsopiano sul tappeto verde che circonda il lago di Nino. Il sentiero segue inizialmente il crinale, spartiacque tra la Corsica settentrionale e quella del sud. L’ambiente è bucolico, tra cavalli e mucche liberamente al pascolo. Data la stagione avanzata, lo spaccio nei pressi del lago risulta chiuso. Proseguiamo un po’ delusi: un panino al formaggio fresco di capra ci avrebbe fatto gola! Per buona sorte, poco oltre troviamo inaspettatamente aperta la bergerie de Vaccaghja. Divoro felice, manco fossi in un tre stelle Michelin, una fresca pagnotta croccante imbottita di salame. Poco dopo arriviamo al rifugio Manganu, in tempo per l’ora di pranzo, che facciamo al sacco.
La tappa successiva, da Manganu a Petra Piana, coincide col nostro settimo giorno. Guardandoci indietro il tempo è volato, ma le gambe raccontano tutta un’altra storia: e siamo ancora a metà viaggio! Quella odierna è, a mio avviso, la tappa più spettacolare del GR20. Iniziamo con una ripida salita di tre ore sino a Bocca alle Porte. Dopo il passo, il sentiero si fa roccioso e si snoda quasi sempre in cresta, tra continui saliscendi. La vista sul lago Capitellu e sull’adiacente lago Melu è molto scenografica. Proseguiamo in cresta sopra i due laghi, spesso con brevi arrampicate tra una roccia e la successiva. Superiamo in successione Bocca a Soglia e Bocca Renosa da cui ammiriamo i monti acuminati di Capu ai Sorbi. Un’ultima deviazione - su un terreno aspro che impone brevi faticose discese e conseguenti ripide risalite - è necessaria per aggirare Punta Muzzella. Dall’omonima Bocca discendiamo più agevolmente e in un‘ora giungiamo al rifugio di Petra Piana. Il minuscolo rifugio sorge in una conca rivolta a sud, a quota 1842 m. E’ il più alto tra tutti i rifugi del GR20, i letti al coperto sono scarsi e ci tocca ricorrere alle tende prenotate. Di notte il freddo di metà settembre unito alla quota inizia a pungere, complice il cielo sereno. In compenso la vista è libera di spaziare sul profilo della montagne del sud, che si stagliano come giganti dormienti sopra le valli nebbiose. L’ottavo giorno ci vede arrivare al rifugio l’Onda, più campeggio con annesso ovile che rifugio. La tappa è per fortuna breve e rilassata, quasi sempre in discesa. In serata sopraggiunge un temporale, ma siano già comodamente seduti a tavola.
Il giorno seguente proseguiamo verso il paesino di Vizzavona. La tappa non è facile, tra settecento metri di salita e milleduecento di discesa, con la prima parte aspra e rocciosa, ma è considerata tra le più belle del GR20. A un certo punto, seguendo il corso del torrente Agnone, ci ritroviamo a fondovalle immersi nelle foreste di pini tra lisce placche di granito rosa che alimentano innumerevoli polle e cascatelle, tra cui le “cascate degl’inglesi”. Questo paradiso è facilmente raggiungibile a piedi dal paese, che è vicino alla statale e ospita la stazione del treno dei Chemins de Fer de la Corse. Per questo motivo troviamo la zona delle cascate affollata da bagnanti che sguazzano e campeggiano ovunque possibile. E’ la prima folla in cui c’imbattiamo dopo dieci giorni impegnativi di marcia quasi solitaria. Qui termina ufficialmente il GR20 nord per trasformarsi nel GR20 sud. Molti escursionisti, esausti o con poco tempo a disposizione, approfittano della stazione per rientrare a Bastia in treno, concludendo così il GR20 a Vizzavona. E’ un errore, a mio avviso, perché la parte sud è altrettanto bella di quella più a nord, anche se con difficoltà e paesaggi diversi. Senz’altro risulta meno aspra e isolata, ma in compenso è più dolce, boscosa (tutto è relativo, beninteso) e accessibile. Ma Conca dista altri 100 km per cui dobbiamo darci ancora parecchio da fare! A Vizzavona c’è un hotel de charme, ma risulta al completo per cui pernottiamo nel più spartano rifugio, in realtà uno spaccio alimentare con annessa camerata di letti a castello. Meglio comunque che dormire in tenda nell’adiacente umido campeggio: non siamo più esattamente ragazzini! Il giorno seguente seguiamo una strada forestale sterrata in direzione sud e poi riprendiamo il sentiero che si snoda tra i boschi. Due colli e cinque ore dopo ci affacciamo sulla Conca di Capannelle, dove c’è la mini-stazione sciistica di Ghisoni. Alloggiamo al rifugio U Fugone, in realtà una gîte d'étape con camere da letto e annessa pizzeria. Il pizzaiolo è un ragazzo sardo e ci lasciamo persuadere dalla sua storia nonché abilità, ordinando una pizza grande come una tovaglia: ormai i disagi della parte nord del GR20 sono solo un ricordo lontano. In realtà la lunghezza delle rimanenti tappe sta aumentando, nelle distanze se non nei tempi.
Oggi, undicesimo giorno, raggiungiamo il rifugio Prati con una tappa lunga quasi diciannove chilometri. Il ricovero è ubicato su un crinale da cui è possibile ammirare il sole che sorge dalle acque del Tirreno. Il giorno seguente proseguiamo per una facile cresta rocciosa sino alla Punta Cappella, attraverso uno dei pochi tratti del GR20 sud che ricordano il nord. Da qui comincia la discesa tra le foreste sino alla Bocca di Laparo. Poi c’è l’ultima salita della giornata: due ore per la cresta del Monte Furmicula, da cui raggiungiamo in breve la conca che ospita il rifugio Usciolu. Ci restano ormai due sole tappe: la prima di venti chilometri e la seconda di trenta, ottenuta accorpandone due. In tal modo saremo in grado di rispettare il vincolo di due settimane che ci eravamo dati per completare il GR20.
Partiamo presto, prima dell’alba, per risalire la cresta sopra al rifugio. Un lungo traverso e una discesa nel bosco ci portano al plateau di Cuscione. Da qui il percorso originale del GR20 sale gradualmente al monte Alcudina. Dal colle, una ripidissima ed eterna discesa conduce al rifugio Asinau. Le otto ore di oggi ci sembrano interminabili ma è la tappa unica di domani a preoccuparci maggiormente: siamo stanchi e l’ultima tratta è la più lunga del trek. Il facile sentiero inizia in prevalente discesa per poi risalire in un’ora fino al colle di Bavella, dove incontriamo la strada provinciale. Al colle arriviamo all’ora di pranzo e ci sediamo in un bar per rifocillarci. Maria appare esausta e non se la sente di camminare altre quattro ore sino a Conca. Per fortuna al passo c’è la fermata della corriera e le diamo appuntamento all’hotel che avevo prenotato in paese. Il villaggio di Bavella è una nota località turistica di montagna per cui troviamo auto, parcheggi, ristoranti oltre a tanta, tanta gente. Da qui partono numerosi sentieri verso le Aiguilles di Bavella e il GR20 attraversa la strada per proseguire verso l’ultima tappa, quella che passa dal rifugio I Pailiri, posto incantato dove purtroppo facciamo solo una breve sosta, per puntare direttamente a Conca, verso il mare che ci richiama irresistibilmente dopo tanta montagna.
L’ultimo tratto (il primo per chi percorre il GR20 da sud a nord) dal colle Bavella al rifugio I Pailiri e poi a Conca, è anche il più bello di tutta la parte sud: guglie e pinnacoli, foreste e dolci colli, vista mare sul profondo blu del Tirreno. Nel tardo pomeriggio di un assolato venerdì 17 settembre si conclude così la nostra escursione “Fra li Monti”: davanti a un’agognata birra gelata servita su di un barile nel bar GR20 di Conca che, come “la bordeggiante Rachele nella sua ricerca dei figli perduti, ha trovato soltanto degli altri orfani”.
Gennaio 2022
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