“E’ camminando che si fa il cammino”
Antonio Machado
E' nella decima regione che il Cile inizia a perdere la propria solidità continentale, disgregandosi in una miriade d’isole e d’isolotti australi. Chiloè è la maggiore di questo vasto arcipelago che, tra fitte foreste, vulcani attivi, fiordi, laghi e grandi spiagge si estende verso Sud fino ai ghiacciai che scendono in mare dalla calotta gelata dello Hielo Continental.
La morbida, verde Chiloé è praticamente divisa da due laghi, Huillinco e Cucao. Il territorio è in gran parte coperto da boschi. L’isola è solcata da lunghe insenature e baie che costringono le strade a cammini tortuosi. Le isole minori sono a loro volte abitate e ammantate da laghi e foreste.
La regione centrale della Patagonia, compresa fra i 38° e i 47° di latitudine sud, identificabile nelle provincie delle città cilene di Temuco, Puerto Montt e Puerto Aisen e argentine di Perito Moreno, Esquel e Bariloche, corrisponde grosso modo all'antica Araucania. Occupata dagli Spagnoli che impiegarono oltre un secolo, tra il 1550 e il 1655, per sottometterla completamente, l'Araucania si liberò nel 1700 in seguito ad una rivolta d’indigeni e rimase a lungo indipendente, fino alla metà dell'800, quando riprese l'insediamento d'immigrati europei, soprattutto francesi, inglesi, svizzeri, iugoslavi e tedeschi. Alcuni gruppi d’indigeni, ormai totalmente integrati, rimangono ancora nella zona di Osorno e sull'isola di Chiloé, dove si dedicano alla pesca, all'agricoltura, alla tessitura e ai lavori di oreficeria in argento. Molteplici sono i motivi d'interesse dell'Araucania, regione straordinariamente bella e misteriosa, dove in un ambiente quasi inalterato da un punto di vista naturale si può andare alla scoperta di alcune delle pagine meno note della storia del Sudamerica.
Gli abitanti di Chiloé, noti come Chiloti, sono bruschi ma non scortesi e preferiscono nascondere le proprie emozioni agli estranei per dividerle solo con i propri cari, riuniti la sera accanto al camino. Di poche parole, trattengono le frasi superflue così come fanno con il calore, avvolti nelle loro spesse giacche di lana. Dei primi abitatori dell’isola, Chonos al sud e Huilliches più a nord, conservano la pelle scura e gli occhi a mandorla assieme alla passione per la terra ed il mare. Per questo motivo si possono considerare una cultura marinara che vive sfruttando l’acqua a guisa di una dispensa da cui traggono pesci, frutti di mare e alghe ma anche coltivando la terra e allevando il bestiame per non dover dipendere da un’unica risorsa. A Chiloé vi sono numerosi villaggi e pochissime cittadine, Ancud, Quellon e Castro, il capoluogo. La maggior parte degli abitanti sono dispersi nell’entroterra collinare ricoperto da vaste zone di boschi. Seguire una delle strade sterrate che portano al Parco Nazionale di Chiloé oppure raggiungere una tra le numerose chiese isolate sparse nell’isola costituisce un’esperienza senza dubbio affascinante.
L’arcipelago conta oltre 150 chiese e cappelle costruite dai gesuiti, dalla struttura lignea e dalle linee sobrie ed essenziali. Percorrendone le navate si inizia un lungo viaggio nella penombra, tra le nodosità del legno e gli incastri dei pezzi di cipresso, tra cunei e vecchi tronchi sui quali spiccano ancora ben visibili le impronte delle accette dei falegnami di Chiloé. Le chiese sono una delle sorprese per il visitatore, asservite a un duplice scopo in quanto il campanile può anche essere visto come un faro che, durante il giorno, guida i naviganti. Hanno inoltre la funzione di ospitare le immagini sacre e di offrire rifugio ai fedeli ogni volta che si celebra una festa religiosa. Il calendario di tali ricorrenze ne conta quasi 300. La più antica è la celebrazione del Divin Gesù Nazareno di Caguach, ma la gente proviene anche dai villaggi e dalle isole vicine, radunandosi per impetrare i favori della divinità e per rendere grazie. Persino un santo protettore come San Francesco, se contrariato, può mandare venti di tempesta o rovinare il raccolto. Di conseguenza è difficile sfuggire a questi periodi di preghiera collettiva dove l’occasione è propizia per la preparazione del curanto (stufato di carne e mariscos), che nutre in eguale misura il corpo e l’anima. La fede degli abitanti di Chiloé è un dato fisiologico, come l’altezza o il colore degli occhi, inestricabilmente connesso con la natura stessa dei Chiloti. Non a caso i gesuiti nel XVII° secolo hanno sviluppato a Chiloé l’arte della scultura sacra in legno, facendone un efficace strumento di conversione. Alcune immagini di santi si conservano ancora nelle chiese dell’isola con il corpo appena abbozzato ma ricoperto da raffinati abiti la cui foggia richiama quelli in uso alla Corte spagnola dell’epoca. Gli arti snodati pongono l’accento sulle espressioni sofferenti di un volto finemente lavorato allo scopo di raffigurarne il martirio con crudo realismo. I capelli di alcune teste di Cristo sono offerti dai devoti, doni tanto più espressivi perché in certi luoghi, come ad Achao, vige la credenza che il privarsi di un così importante attributo faccia rischiare la perpetua solitudine.
La baia di Castro ospita vecchie case di pescatori collocate su palafitte che, non appena la marea si ritira, rimangono sospese a guisa di trampolieri sugli esili pali rosi dall’umidità e rivestiti da muschio vecchio e alghe verdi. Le abitazioni presentano al piano terra una facciata ordinata da una serie di finestre e porte. Alcune sono rivestite da lamiere di ferro galvanizzato ondulato sottile, verniciato con colori accesi per contrastare le tinte grigie delle tipiche giornate plumbee. Per effetto del clima l’aspetto cromatico delle costruzioni è destinato a mutare in maniera rilevante, al punto da far avvicinare il colore del legno delle costruzioni più vecchie al colore grigio-argento del cemento, che conferisce alle case una sorta di anonimato. Eppure la grande eterogeneità cromatica e stilistica delle architetture non stona con l'ambiente naturale, ma all'opposto ne rappresenta una diretta emanazione, essendo il frutto di un perfetto adattamento delle popolazioni al luogo geografico nel quale vivono. Per tutti questi motivi è particolarmente difficile riuscire a descrivere in modo esauriente le peculiarità di questo settore della Patagonia, sicuramente uno dei meno noti e frequentati dai visitatori, ma proprio per questo uno dei più autentici.
L’oceano è la vera frontiera di Chiloé e non si può lasciare l’isola senza essersi recati nel fianco occidentale che si affaccia al Pacifico: la costa brava. Il paesaggio è nettamente diverso da quello delle tranquille acque dei golfi orientali di Ancud e Corcovado, la costa gentil. Qui è possibile ammirare le bianche vele degli schooner in navigazione sottocosta, mai troppo distanti dalla spiaggia nel caso servisse cercare improvvisamente riparo o prestare soccorso. Di forma arrotondata, queste barche non hanno chiglia, di modo che, quando la marea scende, si arenano dolcemente sulle spiagge sabbiose. L’oceano è vitale per i Chiloti e ciò spiega l’origine di tanti miti affascinanti. Quando cala la nebbia molti sostengono che appaia la Chaleuche, una nave fantasma carica d’oro e di spettri, parente stretta dell’Olandese Volante. Tra le onde si cela poi un personaggio ancor più universale, perché la grande Balena Bianca, Moby Dick, proviene proprio da questi mari. E il bianco colore del cetaceo non è altro che la rappresentazione della canizie di un animale tanto astuto da essere riuscito a sopravvivere a intere generazioni di pescatori. Sul mare, o meglio in prossimità delle spiagge, vaga Pincoya. E’ una dea marina che la tradizione vuole vada “seminando” doni prodigiosi quali pesci e crostacei, portatori di nutrimento e benessere ai Chiloti. E mentre le divinità benigne, come Pincoya, dispensano regali miracolosi, altre creature malefiche popolano la foresta, come Trauco, una specie di satiro che insidia le giovani donne che trascurano di recarsi a messa la domenica. Immancabili le streghe, esseri tanto temibili da non potersi nemmeno nominare per il rischio di attirarne l’indesiderata attenzione. Sono solite radunarsi in caverne per il sabba e poi mescolarsi alla gente comune. Questo è il motivo per cui non è raro trovare sulla porta di casa di un Chilote un paio di forbici aperte come pure una coppia di aghi disposti a croce sopra al cuscino di una sedia. Il primo serve ad impedire l’ingresso e la seconda ad alzarsi. Perché nessun isolano dirà mai apertamente che crede ai mostri, anche se nell’animo è convinto che essi esistano, esistano sul serio. La costa brava è la più selvaggia di Chiloé e al suo centro, perennemente immerso nella nebbia, si trova il villaggio di Cucao, circondato da vuote spiagge battute dai venti e dalle tempeste del Pacifico. In questi luoghi circolano le storie più strane. Qui Bruce Chatwin, non molti anni fa, poco prima di iniziare il suo ultimo viaggio, ascoltò le leggende del folclore locale che parlano di driadi, tritoni e mostri marini. Una, in particolare, racconta di uno strano traghettatore che trasporta le anime dei morti oltre lo stretto canale che mette in comunicazione le nere acque del lago di Cucao con quelle dell’oceano per consentir loro di attraversare il mare e raggiungere l’Aldilà. E di come sia saggio evitare d’invocarlo invano da queste spiagge, gridando contro le brume «Traghettatore! Traghettatore!…». Perché, talvolta, pare che il Traghettatore venga davvero.
Gennaio 1998