Italia

Monte Bianco

Cronaca di un'ascensione alla parete Est del Bianco

La est del Monte Bianco

Testo e foto di Giuseppe Pompili

La più maestosa parete del Monte Bianco, bellissima e repulsiva insieme, è senza dubbio la est, che si affaccia per intero sul versante italiano. E’ il versante della Brenva che, nel patois valdostano, significa larice. Una fuga di ripide e affilate creste rocciose, racchiudono strapiombanti canaloni a cui si aggrappano improbabili ghiacciai pensili.

La Tour Ronde
La Tour Ronde

Altrettante lingue di ghiaccio solcano la parete, scendendo precipiti direttamente dalla vetta, per confluire nel vasto circo glaciale della Brenva, un anfiteatro in quota dove, come nel collo di un imbuto, il ghiacciaio si compatta per il cambio di pendenza prima di spezzarsi in un’imponente seraccata e frangersi più in basso, là dove il basamento roccioso riacquista verticalità. Dopo il salto, la Brenva riappare in fondo alla Val Veny, all’altezza di Notre Dame de la Guérison, cinta da imponenti morene nei pressi di quei boschi di larici da cui prende il nome. Reduce da una discesa di 3400 metri verticali dalla vetta del Bianco, il ghiacciaio si estingue in località Entréves, poco più in alto e a sinistra dell’imbocco del traforo stradale italo-francese, ormai grigio e stanco, ricoperto di pietra e di sabbia, accarezzato dalla Dora di Veny.

 

Il versante est del Bianco conta cinque principali vie di salita e si estende dal colle della Brenva (4303 m) a nord, sino all’Aiguille Noire de Peutérey a sud. Da destra a sinistra gli fanno corona il Colle della Brenva, il Monte Bianco, il Colle Major, il Monte Bianco di Courmayeur, il Pilier d’Angle, il Col de Peutérey, la Punta Gugliermina, les Dames Anglaises e la Noire. Nella storia alpinistica del versante della Brenva gli inglesi hanno avuto una parte di rilievo:

Il Grand Capucin
Il Grand Capucin

ben quattro delle cinque vie classiche sono state aperte da loro: sono lo Sperone Moore, o della Brenva, salito per la prima volta nel 1865 da A. Moore assieme ai fratelli Walker, la Sentinella Rossa, la via Major e la Poire, aperte queste ultime tutte da T. Graham Brown con altri alpinisti. Nota anche col nome di Via Moore, lo sperone della Brenva è l’itinerario più popolare al Bianco dal versante est, perché tutte le altre vie sono più impegnative e pericolose, in ordine di difficoltà crescente da destra verso sinistra, cioè da nord a sud. Eccettuato lo Sperone, tutti gli altri itinerari sono stati aperti a cavallo tra gli anni ’20 e ’30, mentre alcune vie di ghiaccio più ripide sono state tracciate solo negli anni ’50, verso il Pilier d’Angle, da Walter Bonatti e Cosimo Zappelli. I primi tentativi e le prime ascensioni al Bianco per lo Sperone della Brenva, furono fatti da Courmayeur, risalendo il ghiacciaio da Entréves direttamente sulla sinistra orografica, sino a giungere ad un bivacco posto sopra ad un rilievo roccioso situato a sud della Tour Ronde, tra due lingue di ghiaccio ripido e sconvolto. Graham Brown e altri alpinisti preferivano invece partire dal rifugio Torino al Colle del Gigante, come si fa ancor oggi usando però la funivia. Per evitare la lunga marcia di avvicinamento dal Torino sono stati costruiti due bivacchi fissi: l’Alberico-Borgna del CAAI al Col de La Fourche e il Ghiglione al Col du Trident, quest’ultimo inagibile da qualche anno a questa parte. Entrambi i colli si possono raggiungere in 3 ore dal Torino e sono i punti di appoggio più pratici non solo per le vie del versante della Brenva e del Pilier d’Angle, ma anche per le vie sui pilastri del Frêney, attraversando il Col de Peutéry.

La salita

La nostra salita allo Sperone della Brenva data ad alcuni anni fa, quando il bivacco Ghiglione era ancora agibile e offriva un comodo punto d’appoggio per coloro che si preparavano ad affrontare l’ascensione al Bianco, lungo una delle impegnative vie della parete est. In cordata con Oscar Bellotti, istruttore nazionale di alpinismo e con mio fratello Gabriele, partiamo dal rifugio Torino in una luminosa giornata di agosto, passando al di sotto della parete nord della Tour Ronde per raggiungere un intaglio sulla cresta noto come il Col du Trident. Il Ghiglione si trova al

Alba dallo Sperone della Brenva, sullo sfondo il Cervino ed il Rosa
Alba dallo Sperone della Brenva, sullo
sfondo il Cervino ed il Rosa

termine di un ripido canalino ghiacciato: è poco più di un container di metallo precariamente sistemato in un incavo roccioso e ad esso ancorato da tiranti metallici. Simile alla Vallot, non ne condivide la solidità, così sospeso nel vuoto com’è, in posizione molto aerea. Al bivacco troviamo pochi alpinisti e le cordate, per lo più francesi, sono quasi tutte dirette a vie diverse dallo Sperone della Brenva. Meglio così: meno persone abbiamo davanti, minori saranno i rischi di essere colpiti dalle pietre mosse dall’alto. Dopo poche ore di attesa, trascorse in piedi nell’angusto spazio affollato, sulla parete est calano cupe ombre, mentre le nuvole risalgono leggere tutto intorno. Non c’è da preoccuparsi, le previsioni danno alta pressione: si tratta di normale condensa pomeridiana. Agosto è appena iniziato e, per quanto il tempo sia stabile e ci si trovi in alta quota, la stagione è troppo calda per avventurarsi sul ghiacciaio di giorno. Occorre attendere la notte, col gelo che indurisce il terreno e rende più stabili i ponti di neve sui crepacci. Verso le due del mattino, dopo poche ore insonni, scendiamo sul ghiacciaio della Brenva alla luce delle lampade frontali fissate ai

La terminale della calotta sommitale
La terminale della calotta sommitale

caschi. Il buio è totale e la tenebra che ci circonda, resa più pesante dal silenzio, è rotta soltanto dalle nostre flebili luce che si riflettono sulla neve, inghiottite poco oltre da un’oscurità densa e pesante. Non è facile individuare un percorso affidabile verso il Col Moore, aggirando i crepacci per cercare di mantenere la giusta direzione intravista tra la foschia e la luce ingannevole del pomeriggio del giorno prima. Dopo alcuni zig-zag e un traverso obliquo giungiamo al colle, situato alla base dello Sperone della Brenva. Il freddo si fa sentire e questo è un buon segno, considerato che il rischio maggiore della via, uscita a parte, è rappresento da un paio di ripide crestine che sarebbe preferibile trovare di neve compatta e non ghiacciata. Attacchiamo alle 3:30 del mattino dopo aver superato la crepaccia terminale, arrampicando su di un caos di enormi e ripidi massi di granito, chiazzati da neve fresca, sulla costola rocciosa alla sinistra dello Sperone.

Panorama dalla vetta
Panorama dalla vetta del Monte Bianco

La salita si fa faticosa, la temperatura è scesa, ciò nonostante la neve cede e l'ascesa rallenta. Più in alto, scoscesi pendii di neve separano la sommità rocciosa dello Sperone dalla parete. Dopo quella che sembra un’interminabile salita nell’oscurità, la via si restringe sino a trasformasi in una sorta di cima nevosa della cresta principale, l’estremità di una lunga e affilata cresta ghiacciata che parte in piano per poi raddrizzarsi gradualmente. Procediamo legati in cordata, dapprima sul filo, poi, quando diventa troppo sottile, ci caliamo per un metro al di sotto, sorreggendoci sui ramponi piantati contro i fianchi del pendio, tenendo le mani e la piccozza spinte in avanti, ad abbracciare la cresta. L’avanzata sembra durare un'eternità. Sulla nostra destra, un vertiginoso scivolo di ghiaccio arriva fino al ghiacciaio della Brenva, interrotto da salti. E’ il Couloir Güssfeldt, dal nome di famoso alpinista tedesco. A sinistra, invece, il precipizio s’inabissa ancor di

Foto in vetta
Giuseppe in vetta al Bianco

più e termina nel circo glaciale compreso tra il Pilier d’Angle e lo Sperone della Brenva. L'aurora ci coglie alla fine della cresta, dove lo Sperone si allarga. L’orizzonte ad est è segnato dalle inconfondibili silhouette del Monte Rosa e del Cervino, che si stagliano nere e acuminate contro le delicate tinte pastello dell’alba. Una breve sosta per bere e distrattamente appoggio la borraccia davanti a me. Come al rallentatore la vedo scivolare, dapprima lentamente, poi sempre più rapida, ormai fuori portata. Si perde nel precipizio senza un suono: chissà se qualcuno la ritroverà, un giorno, alla base del ghiacciaio, vecchia e ammaccata, e si domanderà in quali circostanze è giunta sin lì. Alla luce dell'alba continuiamo la lunga salita su terreno misto, interrotto qua e là da qualche passaggio difficile. Ormai è giorno fatto, quando giungiamo sotto al grande muro di ghiaccio che sembra sbarrare la parete davanti a noi. La cresta si è raddrizzata e sono preoccupato dall’eventualità di dover affrontare l’uscita diretta, in verticale. Tentiamo allora un traverso sulla destra, forziamo un muro alto appena un metro, margine dei seracchi superiori e ci ritroviamo sul piano. Ormai le difficoltà sono alle

La vetta del Monte Bianco
La vetta del Monte Bianco

nostre spalle, il tempo è splendido e senza una nuvola, per cui decidiamo di proseguire l’ascensione dal Colle della Brenva al Mur de la Côte, sino alla cima del Bianco. Intorno a mezzogiorno, guadagnati lentamente i facili pendii nevosi della calotta sommitale, siamo in vetta. Ci siamo stretti la mano, congratulandoci gli uni con gli altri, ancora increduli di non aver incontrato ostacoli insuperabili lungo la via. Ma la felicità è sempre effimera: non dobbiamo perdere tempo nella discesa, se vogliamo arrivare in tempo al Torino per l’ultima funivia che ci riporta a valle, al caldo e ad una meritata e abbondante cena nella leggendaria Maison de Filippo, rifugio sicuro e nemesi di ogni memorabile ascensione al Bianco…

Agosto 1986

 

Bibliografia

  1. André Roch - Grandi Imprese sul Monte Bianco - Dall'Oglio Editore - Lugano. 1ª Edizione '82. pp.214 30.000 £.
  2. Eric Vanis e Alessandro Gogna - Cento pareti di ghiaccio nelle Alpi - Zanichelli Editore - Bologna. 1ª Edizione ottobre '84. pp.214 35.000 £.