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ISLAMABAD - Nelle lunghe ore di attesa della data del volo di rientro in patria, tra un debriefing e l'altro, cuocendo a fuoco lento in una Islamabad simile a un bagno turco, la mente divaga. Il pensiero corre non già ai dettagli della salita (per quelli ci sarà tempo più tardi) quanto piuttosto ai saluti, ai ripetuti addii con i miei casuali compagni di spedizione: gente di tutto il mondo con cui ho condiviso un mese di tenda mensa al campo base oltre a pensieri, sogni e aspirazioni. Diversi in tutto, eppure accomunati dal desiderio prepotente di salire il Chogori, la Grande Montagna, sessant'anni dopo, a prescindere. La metafora della calata dei barbari è impiegata con efficacia per caratterizzare un brusco passaggio d'epoca, un mutamento repentino di costume, una netta discontinuità col passato. Scrittori importanti hanno compilato acuti saggi sull'assalto dei "nuovi barbari" ai santuari dell'occidente. Più in piccolo, mi limito ad osservare come l'onda del cambiamento coinvolga anche settori relativamente di nicchia come quello dell'alpinismo d'alta quota. La provenienza dei nuovi barbari è globale, a esclusione dell'Europa occidentale, continente troppo vecchio e snob per contribuire al fenomeno in modo significativo. Sono in mezzo a noi, in certi casi siamo noi, intesi come occidentali spesso viziati. Altra caratteristica comune ai nuovi barbari dell'alpinismo è una buona dose di brutale pragmatismo che porta a privilegiare il risultato indipendentemente dai mezzi impiegati per ottenerlo. Non paghi d'impiegare tutto l'ossigeno necessario (portato da altri) per la parte alta della salita, ne rivendicano l'uso con orgoglio. Laddove l'aiuto di uno sherpa non basta, ne assumono due, se non tre. Le conoscenze storiche scarseggiano al pari delle conoscenze tecniche e, fuori dal campo base, le sistemazioni predilette contemplano hotel dalle cinque stelle in su. Esagerazioni? Non proprio, considerando la qualità dei servizi offerti da certe spedizioni commerciali. Un'altra caratteristica comune ai "barbari d'alta quota" è il fatto di essere totalmente dipendenti da altri per le decisioni cruciali nel corso della salita. Privati delle loro guide sherpa, di una fissa e di una traccia da seguire, sarebbero perduti. Credevo che tali "alpinisti" popolassero esclusivamente le vie normali di alcune montagne nepalesi, ma questa volta ho dovuto ricredermi di fronte all'evidenza. Dal Broad Peak al K2, quest'anno le spedizioni commerciali sono sbarcate anche in Karakorum. I clienti sono tutti brave e degne persone, presi singolarmente: c'è l'analista finanziario rampante di Singapore che ha studiato a Berkeley e lavora a Pechino, il turco giramondo in mountain bike, che ha lasciato la sua bici all'abc impossibilitato a portarla in vetta. Il macedone che si è fatto portare i manubri da palestra al campo base, per far esercizio all'alba a torso nudo a 5 sottozero. E ancora la cinese coi suoi due portatori sherpa e le tre graziose sherpani, più carine che montanare dato che una non andava in montagna da anni e un'altra non era neppure in grado, senza assistenza, di spostare la maniglia jumar da una corda fissa all'altra. La cosa stupefacente è come, alla fine, tutto questo variegato circo umano sia poi giunto in vetta con un'acclimatazione ridotta a tre settimane scarse.
Devo però aggiungere tutti con ossigeno e sotto l'attenta supervisione dei loro sherpa. Uno degli organizzatori nepalesi, Mingma Sherpa, ha poi candidamene affermato durante un'intervista a un'inviata della CNN a Urdukas di essere contento di questa domanda di servizi tutto compreso da parte dei propri clienti, perché ciò significava maggior lavoro e possibilità di guadagno. Per gli organizzatori, il rischio è una variabile da tenere sotto controllo attraverso un'attenta pianificazione - industrializzazione - della salita e l'uso di ossigeno, per minimizzare i tempi morti di acclimatazione sulla montagna e gli inerenti rischi dovute a frequenti salite ai campi intermedi. Lo stesso cibo è di ottima qualità e tutto d'importazione, come pure i cuochi, che sono nepalesi. Tutto è naturalmente fatto "a favore di sicurezza", tant'è che gli stessi sherpa si meravigliavano come ci fosse ancora qualcuno disposto a salire senza ossigeno e in stile "tradizionale". D'altra parte i servizi di cui sopra non sono esattamente proposti a buon mercato, arrivando a costare svariate volte il prezzo base fornito da un'agenzia pakistana. Ma tutto questo è di scarsa rilevanza per i "nuovi barbari", per la maggior parte dei quali i risvolti economici sono poco più che dettagli. Così, tanti possono agguantare il sogno di una salita al K2, l'economia globale gira, tutti sono contenti, e alla festa finale al Marriott di Islamabad la birra ha lavato via ogni residuo dubbio. Direte: - ma che scoperta, da anni in Nepal e in Tibet le cose girano in questo modo! -. La notizia è che da quest'anno il business commerciale è partito in grande stile anche sul Baltoro. Forse l'effetto trainante è stata l'occasione del 60-enario della prima salita al K2, ma certamente in futuro l'offerta di servizi commerciali sugli 8000 del Karakorum da parte delle agenzie nepalesi è destinato a crescere. Il motore ultimo è la domanda d'avventura che giunge dai paesi emergenti, un'avventura affatto diversa da quella dei pionieri dell'alpinismo come pure da quella delle spedizioni di solo pochi anni or sono. La nuova domanda vuole il brivido della salita unita alla certezza del ritorno, la sicurezza del successo sotto la guida di professionisti esperti che non lasciano nulla al caso unitamente al minimo del rischio. E poco importa che in realtà non vi sia garanzia alcuna: ciò che
conta è la promessa, l'illusione della sicurezza. Come i fatti hanno dimostrato, qualche volta anche i migliori organizzatori e le più quotate agenzie possono sbagliare o incappare in una serie di circostanze sfortunate. Ecco la genesi delle stragi: (cfr. “Everest 1996 cronaca di un salvataggio impossibile”). Succederanno anche in Karakorum, con esiti ancor più catastrofici, perché quando 40 persone trascorrono ore intere procedendo a passo di lumaca lungo il traverso, prima che si stacchi una sezione del seracco pensile che v'incombe sopra è solo questione di tempo. In cambio di questo rischio annunciato e ineliminabile abbiamo però il nostro bravo certificato di vetta, da appendere al muro in ufficio, magari tra il diploma di laurea e una foto dei nostri cari.
CAMPO BASE - E' di sabato 26 la notizia che una quarantina persone di diverse nazionalità hanno salito il K2 nella medesima giornata. Tra queste, 14 senza l'uso di bombole di ossigeno, tra cui il sottoscritto. E chi conosce la differenza sa che si tratta di due salite completamente diverse. Questo è anche l'anno dei record: il maggior numero di alpinisti in vetta al K2 tutti nello stesso giorno (tra cui sei donne: le 3 sherpani, la neozelandese Chris e la cinese Lou Jin, tutte con l'uso di bombole d'ossigeno, la "nostra" Tamara Lunger l'unica senza). Cosa ancor più importante, non vi sono stati incidenti di rilievo. Intendiamoci, lassù si resta sempre al limite, anche quando non sembra: il vento gelido, la possibile rottura di corde, la caduta di sassi, di ghiaccio, le proprie condizioni fisiche sono variabili imprevedibili. Ma questa estate, quasi a voler smentire la fama di montagna killer, le statistiche sono state per fortuna smentite. E' anche il secondo anno (dopo il 2012) della netta prevalenza di alpinisti al seguito di una spedizione commerciale nepalese stile "vetta in mano" al K2, con diversi sherpa e bombole d'assigeno per cliente. A cosa questo preluda, è difficile ora prevedere: il K2 non è l'Everest né mai lo sarà, ma lo sbarco in massa di sherpa con clienti al seguito in Karakurum (24 in vetta solo ieri l'altro tra clienti e nepalesi) ci dice che i tempi sono cambiati, anche per questa montagna. Siamo ben lontani dal record di 500 in vetta in giornata sull'Everest, ma 38 sul K2 fa impressione. Non sarà sempre così, non tutti gli anni, ma questo a me pare un cambio di passo irreversibile: l'arrivo deciso delle spedizioni commerciali straniere tra gli 8000 del Karakorum. Nelle 17 lunghissime ore che è durata la mia salita, mi piace pensare di aver avuto Adriano dal Cin accanto a me, l'alpinista di Susegana con cui ho condiviso già due precedenti tentativi al K2, oltre a innumerevoli spedizioni in giro per il mondo. Questo Adriano ideale mi ha sorretto e confortato durante le interminabili ore di salita, con consigli e incoraggiamenti, come se fosse stato davvero con me, nella mia testa, in stile dialogo tra Simplicio, (io) e Salviati (Adri):
Giuseppe: Sono già le dieci di sera? Ma non sarebbe meglio rinviare la partenza di qualche ora? Fuori dalla tenda farà almeno 20 sotto zero...
Adriano: Chi ha tempo non aspetti tempo!
G. Mi si stanno gelando le dita ad allacciarmi gli scarponi, ma tu come fai ed assere sempre pronto prima di me?
A. Io mi organizzo!
G. Anche io ci provo, ma con scarso successo a tuo confronto.
G. Caspita, sono tre ore che andiamo e non sento più la punta dei piedi, lo sapevo che eravamo partiti troppo presto.
A. Muovi le punte, in continuazione.
G. Lo sto facendo, ma sembra non fare effetto.
A. Tu continua, è meglio di niente.
G. Sarà... ma ho dei dubbi su questa salita...
A. Basta tentennamenti, stavolta si va.
G. Farò del mio meglio.
A. Il tuo meglio non basta, devi dare di più.
G. Finalmente l'alba, al collo di bottiglia. E' veramente ripido. Devo assolutamente trovare uno strapuntino roccioso dove stare in piedi e tenere gli scarponi al sole per farli scaldare un po'. Non sento più le punte.
A. Io non ne ho bisogno.
G. Porca puzzola, trenta persone in fila sul traverso, pressoché fermi, ma quanto ci vuole? Qui se crolla qualcosa succede una strage...
A. Non ci pensare. Parliamo d'altro.
G. Ma lo sai che la tua nuova fidanzata, Tiziana, è proprio simpatica? Non fare cazzate. Con lei hai fatto centro.
A. Tu pensa alla tua, di fidanzate!
G. Ok, ok, scherzavo! La giornata è bella, il vento è debole, forse ce la facciamo.
A. Ma dalla fine del traverso alla cima la strada è ancora lunga e nessuno ha ancora messo le fisse...
G. Il solito pessimista.
A. Realista!
G. Dai Adri, pedala, mancherà ancora un'ora al massimo.
A. Dì pure almeno due.
G.Lo sapevo, ancora poche decine di metri e arriveremo in cima, ma proprio ora, alle tre del pomeriggio, sono salite delle soffici nuvolette. Dannati tenui batuffoli di cotone bianco che ci rovinano la vista! Mi sa che arriveremo nella nebbia. E dire che sinora c'è stato un sole che spacca!
A. Zitto e pedala. Dopo la fatica fatta per arrivare qui, la bella foto di vetta deve essere l'ultima delle tue preoccupazioni!
G. Ecco, è fatta, ci siamo, nebbia da Val Padana come quando tu hai salito l'Everest. Aspetta che mi guardo intorno mentre tiro il fiato.
A. Non c'è tempo, il meteo sta cambiando e sta già iniziando a nevicare. Ti ricordo che abbiamo appena quattro ore per tornare a campo quattro, e quando farà buio e non vedrai più le bandierine di segnalazione lungo la via (pochissime per altro), allora conoscerai davvero cos'è la paura.
G. Sai una cosa? Mi hai convinto. Io scendo. Ancora un attimo per vedere se si apre... Adri? Adri? Ma dove sei? Mi sembrava che volessi aspettarmi! Macchè, scommetto che Adri "Piè veloce" è già sceso a Campo 4, anzi, che magari ora è già a casa, al caldo, che se la ride...
E se pensate che scrivere un blog il giorno dopo essere discesi dalla vetta del K2, con la gola in fiamme e mille altri acciacchi sia cosa facile o scontata.....
Un ringraziamento ancora a tutti, ma proprio tutti.
Arrivati al campo 4 con tempo ottimo, adesso comincia a rannuvolarsi. Le previsioni di qualche giorno fa, ovviamente, sono cambiate. Si attende un peggioramento con qualche nevicata da questa sera, domani nel pomeriggio sera e anche domenica e lunedì. Per fortuna il vento è debole e tale dovrebbe restare, quindi le temperature resteranno buone. Oggi, salendo si sudava e i piedi sono ben caldi. Siamo circa una trentina, con tutta la spedizione K2 60 anni dopo, le sherpani e una decina di alpinisti con bombole di ossigeno. Io sto bene, nessun mal di testa e anche i miei compagni sono belli pimpanti. Domani tenteremo la vetta, con partenza a mezzanotte. Grazie a tutti quelli che mi hanno scritto e anche a chi solo mi pensa, con un saluto particolare a chi vorrei fosse con me: Adriano.
Ieri c'è stata la riunione di tutti i capospedizione per cercare di organizzare e pianificare i tentativi di vetta, e si era giunti a un'ottima e ben condivisa soluzione per minimizzare i rischi che derivano dal numero di alpinisti presenti quest'anno sul K2. La decisione era stata di dividere in due "turni" la salita, uno per il 26 di luglio e uno per il 27. Ma... non tutte le ciambelle riescono con il buco, oppure non bisogna fare i conti senza l'oste, oppure non dir quattro se non l'hai nel sacco, o qualunque altro proverbio possa venire in mente: fatto sta che le previsioni meteo, che sino a ieri davano buon tempo stabile sia per il 26 che per il 27, quest'oggi minacciano lievi nevicate per il 27. Quindi, tentativo di vetta unico per tutti il giorno 26, eccezion fatta per coloro che hanno deciso di attendere sino al 30, come i polacchi. Preoccupazioni? Molte. Possibilità di rallentamenti e ingorghi al "collo di bottiglia"? Certi. Pericolo di scarico pietre? Media entità. Il da farsi, per me, lo deciderò giorno per giorno, o meglio, passo per passo. L'unica certezza è che partiamo tutti domani mattina.
In attesa della finestra di vetta, prevista nei prossimi giorni, abbiamo passato alcuni giorni tediosi al campo base sotto pesanti nevicate. I dieci centimetri di neve quotidiani per fortuna si sciolgono quasi tutti entro lo stesso pomeriggio, altrimenti saremmo presto sommersi. In questi noiosi frangenti, umidi e freddi, gli spostamenti si riducono per lo più a brevissime passeggiate tra la propria tenda, la tenda mensa e la toilette, tutti luoghi distanti tra loro venti metri al massimo. Anche solo raggiungere gli attendamenti delle spedizioni vicine, distanti poche centinaia di metri, richiede uno sforzo di volontà, oltre a coprirsi bene e avanzare nel deserto bianco in cui si trasforma la pietraia gelata del Godwin Austen. Nel mio caso, ahimé, spesso è la pigrizia a prevalere sulle relazioni sociali, per cui trascorro il mio tempo a leggere e a scrivere.
Per nostra fortuna Tamara, complice l'irrequietezza, l'entusiasmo e l'energia dei vent'anni (ne ha 28 se proprio lo volete sapere) è la trottola del team: mantiene i contatti, corre al cb del BP a salutare l'amico Alex, dispone sempre di un invito a pranzo e via visitando. Grazie a tanta iperattività, siamo sempre bene informati su quel che accade nella nostra piccola comunità attendata ai piedi del Re delle Montagne, in attesa che Sua Grazia il K2 sia pronto a concederci udienza. La cosa più divertente che si può fare in queste giornate accidiose, è ammazzare il tempo mangiando. Naturalmente c'è desinare e desinare e nonostante tutto l'affetto che nelle settimane abbiamo sviluppato per i nostri cuochi e ragazzi di cucina e per i piatti che c'imbandiscono, spesso è la nostalgia per i sapori di casa ad affiorare prepotente. L'occasione per spezzare la routine di dhal bat e pasta scotta al peperone verde con pezzetti di montone bollito è rappresentata da un invito a pranzo o a cena presso un'altra spedizione. Sono eventi relativamente rari ma ghiotti, in cui s'intaccano le preziose scorte personali di viveri importati.
Ciascuno mette in comune le proprie specialità regionali e per una volta ci s'illude di essere a casa. In seguito al successo della cena con canederli e a quella successiva dell'altro ieri in cui gli italiani della spedizione dei sessanta anni dopo si sono sdebitati alla grande con un'insalata mista di uova sode e ventresca di tonno inventata da Daniele Nardi, ieri pomeriggio abbiamo avuto l'onore di ricevere la visita della delegazione italiana al completo: Agostino da Polenza con la compagna Stefania, Michele Cucchi, Simone Origone e Daniele Nardi. La nostra tenda mensa è piccolina, ma siamo comunque riusciti a trovare sedie per tutti.
Grazie alla lungimiranza di Klaus, che aveva nel bidone le sue specialità tirolesi, è iniziato un gioco al massacro che ci ha visto divorare lo squisito speck fatto in casa da Klaus medesimo (24 mesi di stagionatura!) accompagnato dai suoi salamini affumicati, dalla mocetta della val d'Ultimo e da altre delikatessen tirolesi. Il tutto servito con Ultner Brot, grissini al farro integrale con semi di sesamo e papavero, e poi Schuttel Brot secco all'anice con grana a volontà offerto dai nostri ospiti. Quello che doveva essere un semplice spuntino si è trasformato in una sontuosa cena di specialità tirolesi. Unica eccezione, un saporito brodo caldo preparatoci dal nostro cuoco Karim. Per buttar giù il tutto Klaus aveva uno speciale thè miscelato con erbe di montagna della Val d'Ultimo. Si sentiva solo la mancanza di un buon vino rosso, qualcosa da "pulesch", che potesse insomma sgrassare. Ma nessuno se ne è lamentato, dato il tempo e il luogo. Così, tra piani di vetta e reminescenze degli antenati Waltser di Michele e degli splendidi casali abbandonati sopra Alagna, si è conclusa una piacevole serata, quasi a compensazione di quelle ferree che ci attendono nell'immediato futuro. Devo aggiungere che non posso che sentirmi in debito verso Klaus per la sua "merenda tirolese" a cui ho immeritatamente attinto e, per contrappasso, gli ho promesso di ritrovarci presto in Emilia per un desinare a base di specialità e salumi emiliani. Questa riscoperta dell'Italia attraverso nuove amicizie in regioni diverse con annessi gastronomici rappresenta un prezioso spin-off, una fantastica ricaduta di una spedizione, che dal mio piccolo e limitato punto di vista appare oggi quasi più importante del raggiungimento della vetta. Si vede che sto invecchiando, non è vero?
Ieri l'altro, per la prima volta, un gruppo di nove persone ha dormito al campo tre, a 7290 m. In parecchi siamo partiti dal campo base, il 14 luglio, direttamente verso il campo due, con l'intenzione di salire al tre l'indomani. Le condizioni meteo purtroppo non erano ideali e martedì mattina un vento con raffiche superiori ai 50 km/h sollevava al c2 turbini di neve che si attorcigliavano sulle rocce verticali della Piramide. Alcuni coraggiosi hanno iniziato ugualmente la salita al tre (i due greci Panos e Alex, gli italiani Simone e Michele, Tam e Klaus col finlandese Sami e due cecosolovacchi) raggiungendolo 4 ore e mezzo dopo in condizioni di forte vento. Altri, tra cui Ferran, Al e il sottoscritto, preferivano restare un'altra notte al c2, dato il peggioramento del meteo. In effetti durante la notte del 15 è nevicato, ma fortunatamente il vento è diminuito, dando modo a tutti quelli che erano saliti al tre di scendere tranquillamente ieri al base. Questa notte sono caduti 10 cm di neve e il vento è aumentato. Ora non resta che aspettare la prossima finestra di bel tempo (attesa non prima di qualche giorno). Se questa finestra sarà adeguata, la prossima salita potrebbe anche coincidere col primo "summit push" della stagione.